Ci scrive Mirco Grandi, sindacalista della Camera del Lavoro di Milano.
“In questi giorni di dura prova e sacrificio, c’è una categoria fino ad ora trascurata dalle cronache: quella dei portieri di condominio. Un esercito silenzioso che, da quando è scoppiata l’emergenza del coronavirus, è al lavoro per pulire e sanificare le nostre case. Ma non solo: i portieri ritirano la nostra posta, i nostri pacchi, ci danno quei piccoli aiuti domestici e ci regalano le parole giuste per sopportare la nostra condizione di reclusi. Milano vi deve molto e vi ringrazia”.
Vi presentiamo i portieri di Milano e vi proponiamo il racconto di una giornata che qualche mese fa abbiamo trascorso insieme a Luciano Ravera, uno degli storici custodi della città.
I portieri di Milano
I portinai, quella figura celebrata nei romanzi di Simenon e nei film dell’Italia del boom economico, continuano a popolare le guardiole nei palazzi di Milano.
Se negli anni Novanta erano più di 9mila, adesso sono meno di 8mila: ma nell’ultimo anno, dicono gli studi di Assoedilizia e Confedilizia, le richieste sono tornate a salire. Garanzia di maggiore sicurezza, indice di pregio per il condominio e assistenza per ogni piccolo problema domestico, i portinai non solo rappresentano la memoria storica del palazzo, ma sono un punto di riferimento.
I loro compiti sono ancora quelli classici: le pulizie – “Molti sono tornati ad assumere il custode, pentiti del ricorso alle imprese esterne”, racconta Mirco Grandi di Cgil – i piccoli interventi di manutenzione (la lampadina da sostituire, le piante da innaffiare), ma anche e sempre più, con il boom del commercio online, il ritiro dei pacchi, che a volte porta a piccole crisi condominiali, visto che le consegne sottraggono tempo alle altre attività.
Il portinaio non è presente a tempo pieno, come quello che viveva nella guardiola dei palazzi, con una tenda a dividere la zona notte e l’odore di cibo sui fornelli che arrivava fino al portone. Molti, una volta terminato il turno, tornano a casa propria.
Ma chi sono i portieri oggi? L’età media di chi frequenta i corsi per diventarlo è 45 anni, ma sono in aumento i giovani. Molti sono “figli d’arte”, cioè hanno ereditato la portineria dai genitori.
Gli italiani restano lo zoccolo duro, ma aumentano i filippini (a Milano sono il 75 per cento dei portinai stranieri), i cittadini dello Sri Lanka e i sudamericani. La portineria diventa così anche uno strumento di integrazione: nei palazzi dove il portinaio vive nella guardiola, porta con sé la moglie e i figli, che giocano con gli altri bambini del palazzo, assorbono più velocemente la lingua e insegnano ai piccoli italiani qualcosa della loro cultura.
Il racconto
“Arrivavano con la valigetta in mano e uscivano senza”. All’epoca – era la fine degli anni ‘80 – “non potevo immaginare. Poi quando è scoppiato tutto…”. Scuote la testa Luciano Ravera, 61 anni, milanese. Dalle vetrate della sua portineria in via Olmetto, dove ha preso servizio nel 1983, ha visto da vicino tutto il ciclone giudiziario di Tangentopoli. “In questo palazzo c’è stato anche un arresto importante”. Ma, lascia intendere mimando la metafora delle tre scimmiette: “Una delle regole d’oro del mio mestiere è la discrezione”.
Più che con il silenzio, però, il premio di migliore portiere d’Italia, Luciano se l’è conquistato con il sorriso. E atti di quotidiana generosità.
Abito blu, cravatta e camicia azzurra, è uno dei pochi che a Milano porta ancora la divisa. “È il mio biglietto da visita”, dice con orgoglio mostrando il cartellino con il suo nome sul petto. Per lui, portinaio da 36 anni sempre nello stesso palazzo, questo “è il lavoro più bello del mondo”.
“Luciano, hai due minuti? Mi si è bloccata la corda della tapparella”. Sono le 11, il dentista del primo piano, camice verde e cuffietta, si affaccia in guardiola. Luciano sparisce nel retro e torna con una cassetta degli attrezzi in mano. Al suo posto, a controllare il viavai di postini e corrieri – ci sono 43 appartamenti tra abitazioni, uffici legali e laboratori orafi –, c’è la moglie, Daniela Tabacchi, 56 anni, intenta a lucidare i preziosi elefanti di pietra all’ingresso. “Sono dello scultore Angelo Biancini”, ma in pochi lo sanno.
È questo uno dei segreti del palazzo custoditi dalla coppia che ha preso in eredità la guardiola dal portinaio-operaio che costruì l’edificio negli anni ’50. “È la mia vita. Mi piace questo lavoro perché mi fa sentire una persona importante. Quando succede qualcosa, il primo che chiamano è sempre il portiere”. Certo, anche nel cuore della notte, “se qualcuno è bloccato in ascensore”. Ma è questa, dice, la sua missione, che condivide con il signor Wolf di “Pulp Fiction”: “Risolvo problemi”.
La giornata inizia presto. Non sono neanche le 8 quando Luciano gira la chiave e apre la sua portineria, il suo regno tutto in legno. Accende luci e citofoni. Poi fa il giro del cortile tra aloe, agavi e gelsomini – “che abbiamo piantato noi” – per controllare che sia tutto a posto. A fargli compagnia in queste prime ore del mattino la musica di una vecchia radio che farà da sottofondo alla sua giornata.
“Goodbye”, saluta una coppia di turisti inglesi mattinieri. “Da quando c’è Airbnb ho dovuto imparare parole in tutte le lingue. So anche dire ‘ascensore’ in russo”.
Sistema la posta nelle caselle e iniziano ad arrivare i corrieri con pile di pacchi in mano. Li prende in consegna, firma, chiama i proprietari. “Vede, c’è sempre qualcosa da fare”. L’unico momento di relax è la pausa pranzo: “Un’ora, giusto il tempo per una puntata della ‘Signora in giallo'”.
La giornata finisce come è iniziata. Alle 18 Luciano spegne le luci e chiude la sua portineria con due vigorose mandate, fino al mattino seguente.
Saluta i primi condomini che rientrano dopo il lavoro. Non ha dubbi, questo “è il lavoro più bello del mondo”. E lo sa perché? “Il portinaio è la persona, al di fuori della loro famiglia, su cui tutti sanno di poter sempre contare”.
Parte di questo articolo è stato pubblicato su “La Repubblica“
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