Rieccoci. Da oggi siamo in zona rossa, scatta il secondo lockdown. Un film già visto, anche se a guardare le strade non sembra di essere tornati ai tempi di marzo. Manca il silenzio, che all’inizio della pandemia era interrotto solamente dalle sirene delle ambulanze. Eppure, anche se nei fatti ci assomiglia poco, siamo dentro a un nuovo lockdown. Quello che nei titoloni dei quotidiani d’agosto tutti avevano scongiurato incorniciando questa parola entrata ormai nel vocabolario collettivo con un imperativo: “Mai più”.
Caparezza, in un singolo di qualche anno fa, cantava che il secondo è sempre più difficile. Parlava degli artisti, di come, se sei stato bravo e hai avuto successo, il secondo album è sempre il più difficile. Difficile: lo scandiva proprio, rallentando per un attimo i suoi supersonici giochi di parole. Era “Il secondo secondo me” e oggi questa canzone, lanciata all’epoca da un video ambientato nel monolocale di un artista, che alla fine si trovava da solo a mangiare spaghetti su una tela, suona quasi profetica.
Cantava Caparezza, a un certo punto: “Dunque ogni cosa giusta rivela il suo contrario”, per poi concludere un po’ sbruffone, che “se non sei d’accordo mi dispiace per te”.
A marzo abbiamo fatto la cosa giusta. Per il tempismo e per la scelta, allora coraggiosa, di chiudere tutto, il nostro Paese è stato elogiato a livello internazionale. Tanto che fino a qualche settimana fa si parlava di “modello Italia” e a tessere le lodi era l’Organizzazione mondiale della sanità.
Questa volta arriviamo dopo tutti i nostri vicini europei. Gli stessi che a marzo non capivano la nostra scelta radicale. Ora siamo noi a inseguirli, senza però avere la stessa fermezza di qualche mese fa. Sembriamo disorientati. Si diceva: “Mai più lockdown”. E allora gli abbiamo dato nuovi nomi: “Coprifuoco”, “lockdown light”, “restrizioni ulteriori”. Ma senza giri di parole, questo è il nostro secondo lockdown, che come cantava Caparazza, è il più difficile.
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