“Freud sosteneva che il panico sorge quando vengono meno i legami collettivi e ciascuno si preoccupa soltanto per la propria sopravvivenza”. Morale: senza il supporto di una collettività, si rischia di sprofondare nel panico da coronavirus. Roberto Pozzetti, 50 anni, psicoanalista e docente universitario alla Libera università degli Studi di Lugano riflette sul periodo appena trascorso e ci racconta come la pandemia ha influito sulla vita di coppia e sul modo di affrontare il mondo di chi mal sopporta di rimanere chiuso in casa. E ci ricorda quanto è importante mantenere un senso di comunità per combattere il panico scatenato dal virus.
Professore, ci racconti. In un’immagine: che periodo abbiamo vissuto?
“Se guardo indietro, ai mesi appena trascorsi, vedo una macchia cupa che si sparge con virulenza nella nostra quotidianità là dove le splendide giornate primaverili ci promettevano momenti di divertimento e gioia, ma sono stati presto rimpiazzati dalla paura, dai lutti, dall’isolamento. Questa macchia ci ha allarmato e, nel contempo, intristito”.
Gli oltre due mesi di confinamento che effetti hanno provocato sulle persone?
“L’isolamento ha accentuato quell’alternarsi di ansia e di noia o persino di tedio esistenziale che caratterizza spesso la nostra vita e di cui già parlavano alcuni autori latini, come Lucrezio. E quindi: ansia strisciante nell’uscire di casa, paura galoppante di fare cattivi incontri, di ammalarsi, di venire messi in quarantena, fino ad arrivare a confrontarsi con l’angoscia della morte, con quella stessa morte che tendevamo a rimuovere dalle nostre esistenze. Dall’altro lato, c’era la noia dettata dal non potersi spostare liberamente, limitando molto le proprie attività e i contatti umani con amici e congiunti. Questo stato d’animo di noia manifesta il desiderio di trovarsi in un altro luogo e in un altro momento: indica il desiderio di un altrove, come affermava lo psicoanalista Jacques Lacan”.
A proposito di desiderio, com’è cambiata la vita di coppia in lockdown?
“Le coppie temevano di contagiarsi, vivevano l’erotismo con paura. La sessualità ne risultava modificata in modo drastico, a cominciare da quella basilare manifestazione di affettività che è il bacio. In quei mesi c’è stata, dunque, una vita intima morigerata e asettica. Ma bisogna distinguere tra le coppie conviventi e quelle che non abitavano sotto lo stesso tetto. Queste ultime, paradossalmente, hanno sperimentato un rilancio del desiderio”.
E i conviventi?
“Le coppie conviventi si sono confrontate, invece, con episodi conflittuali e con la noia di cui parlavamo prima. Restare giorno e notte sempre in due spegne il desiderio, lo rende difficile. Amore e desiderio si rilanciano attraverso la funzione del terzo: Lacan diceva che bisogna essere in tre per amare anziché in due soltanto. Parlo del terzo senza implicare necessariamente una terza persona: per terzo, intendo una fantasia erotica o un interesse in comune a cui dedicarsi come leggere un romanzo o realizzare un video insieme. In questo senso, è fondamentale la funzione della sublimazione, ovvero l’elevare la spinta che mira al soddisfacimento pulsionale verso forme di piacere centrate su un oggetto culturale, artistico, che implica un’opera creativa. Con un po’ di pudore, si tratta di fare in modo che non tutto sia immediatamente mostrato, che ci sia ancora qualcosa da scoprire, al fine di coltivare mistero e desiderio”.
Chi ha sofferto di più in questi mesi di isolamento?
“Ognuno ha reagito diversamente. Ho potuto osservare che il confinamento ha colpito di più chi soffre di claustrofobia, chi ama viaggiare, frequentare gente, stare in gruppo, relazionarsi con gli amici, sedurre, conquistare. Queste persone si sentivano soffocare. Adducevano qualunque scusa per allontanarsi dalla propria abitazione e andare a prendere un po’ d’aria fresca. Al contrario, si sono maggiormente stabilizzati coloro che temono la folla, che evitano le relazioni, che sfuggono dai legami sociali. Questa loro peculiarità adesso non è più un sintomo clinico, non è più una stranezza, ma è qualcosa di affine a un prudente senso civico, che viene socialmente riconosciuto e valorizzato”.
Gli adolescenti ai tempi del coronavirus come hanno reagito?
“Come sempre avviene davanti a un evento drammatico, ognuno ha inventato qualcosa di speciale per affrontarlo. Tra i miei pazienti, qualcuno si è ammalato di Covid anche se, per fortuna, nessuno in forma grave. Diversi hanno avuto familiari ricoverati in ospedale. Non nascondo una certa sorpresa, occupandomi da tempo di adolescenti e giovani, nell’averli trovati molto ligi al dovere, molto rispettosi delle regole. Ci si sarebbe attesi forme di trasgressione che, nei mesi primaverili, non si sono verificate in forme eclatanti”.
Poi è arrivata l’estate con le spiagge affollate, la movida senza mascherine e i giovani spesso additati dai più come gli unici colpevoli della risalita dei casi.
“C’è da chiedersi se l’incremento di contagi, circoscritto soprattutto alla fascia di età giovanile spesso in occasione di periodi di vacanza e specifico di queste ultime settimane, non sia anche l’effetto di una semplice dinamica che li ha portati a dimenticare distanziamenti, dispositivi di protezione come le mascherine e accortezze prudenziali dopo mesi di lockdown, in una sorta di recupero del tempo perduto e in una forma di negazione o misconoscimento del persistere della pandemia”.
Fra pochi giorni le scuole riaprono: in quale clima?
“C’è molta preoccupazione per la riapertura delle scuole, che potrebbero diventare luogo di contagi. Ma l’alfabetizzazione è un diritto fondamentale dei bambini: la didattica a distanza ha funzionato bene con i ragazzi del liceo, ma ha anche mostrato palesi lacune con i bambini delle scuole dell’infanzia e delle primarie. In tenera età, la relazione educativa con i docenti e gli scambi giocosi con i coetanei non possono venire sostituiti dalla didattica online”.
Più in generale, adesso come sono gli umori degli italiani?
“C’è, di nuovo, il timore di una riacutizzazione della diffusione del virus sia sul versante della paura di ammalarsi sia per un possibile nuovo lockdown. In generale, mi sembra che ci sia ancora poca tranquillità. Forse è meglio così: chi si dimentica della pandemia ha più probabilità di contrarre il coronavirus”.
Cosa ci ha insegnato questa pandemia?
“Il clima di solidarietà collettiva che si è creato nei mesi appena trascorsi era toccante e commovente. È stato davvero bello vedere molti giovani attivarsi come volontari. Mi ha colpito l’esperienza di mio nipote, Denis. Quando non era impegnato con la didattica a distanza, si è dedicato a misurare la febbre alle persone che si recavano in un centro commerciale della sua zona, a portare il cibo sulla soglia di casa di persone anziane e a recapitare delle mascherine nelle loro cassette della posta. Sarebbe ottimo se questa esperienza ci insegnasse i valori del collettivo e della solidarietà. Considero più probabile, però, che presto prevalgano di nuovo l’individualismo e il preoccuparsi ciascuno per se stesso. Freud sosteneva che il panico sorge quando vengono meno i legami collettivi e ciascuno si preoccupa soltanto per la propria sopravvivenza, in un circuito di rafforzamento della paura irragionevole. Senza il supporto di un collettivo, si rischia di sprofondare nel panico da coronavirus”.