Gli italiani hanno già conosciuto epidemie e quarantene, isolamenti e confini. Hanno combattuto contro tifo, colera e spagnola. Ci hanno lasciato lettere, pagine di diario e altri scritti a memoria di quello che hanno vissuto prima di noi. Sono testimonianze di gente comune alle prese con le epidemie dei secoli scorsi e che hanno molto da insegnare ancora oggi.
In questi giorni in cui l’Italia sta affrontando l’emergenza del coronavirus, queste storie tornano alla luce. A portarle nelle nostre case è l’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano, in Toscana, che ha lanciato l’iniziativa “Italiani in quarantena. Diari dall’isolamento”.
Ogni tre giorni, sulla pagina Facebook della Fondazione, sarà disponibile uno stralcio delle memorie, delle lettere e delle testimonianze di gente comune alle prese con le epidemie dei secoli scorsi. O che ha vissuto altri tipi di isolamento. Come quello nei campi di prigionia o dietro le trincee. E ancora, racconti delle quarantene in un’isoletta a mezz’ora di mare dalla città di New York.
L’archivio dei diari, nato nel 1984 su iniziativa del giornalista Saverio Tutino, ha deciso così di aprire idealmente le sue porte per farci scoprire “storie che raccontano di altre quarantene, di altri isolamenti, di altri momenti bui che hanno poi lasciato il posto alla luce, alla pace, alla bellezza”.
Rileggere le pagine del passato per affrontare l’isolamento di oggi: questo l’obiettivo. Ma anche lanciare un messaggio di speranza. Un modo, spiegano gli ideatori, “per dirvi che ce la faremo, come ce l’hanno fatta gli autori di queste storie che abbiamo deciso di condividere con voi. Perché alla fine di un tunnel, anche il più lungo, anche del più oscuro, c’è sempre la luce ad aspettarci”.
Di seguito vi proponiamo una lettera di Renato Rossi.
Ventenne, Renato Rossi parte per la prima guerra mondiale e, da Venezia, dove svolge lavori di ufficio, scrive al padre in Umbria. Oltre alle notizie sulla guerra, chiede soldi e vuole tenersi aggiornato sulle questioni famigliari. Dall’ottobre 1918 è impegnato in azioni di guerra per pochi mesi. Si ammala di spagnola e il cappellano racconta alla famiglia la sua morte, avvenuta nell’ospedale militare di Postumia.
L’archivio lancia anche un invito a condividere le proprie memorie. “Ci piace immaginare che ci sia, fra di voi, chi sta scrivendo proprio in questi giorni il suo diario della quarantena. Sarebbe bello ricevere questi vostri scritti, farli partecipare magari al Premio Pieve e rileggerli qui in Toscana quando tutto sarà finito. Quando volgendo indietro lo sguardo ci renderemo conto di esserci lasciati tutto alle spalle, felici della nostra normalità, della nostra quotidianità. Felici di essere lì, gli uni accanto agli altri, circondati ancora una volta dalle storie”.
Qui potete inviare il vostro diario