“Mia madre un po’ mi aiuta perché da brava insegnante dice di conoscere tutte le ‘paturnie’ dei professori e dei presidenti di commissione, ma allo stesso tempo aumenta le mie ansie, perché con lei è come avere la scuola anche a casa giorno e notte”.
Paolo Amadio ha 18 anni e, in questi giorni, ha affrontato la maturità al liceo linguistico Montini di corso di Porta Romana, a Milano. Paolo ci racconta questo secondo esame di Stato in pandemia – che arriva dopo un anno e mezzo di didattica a distanza – affrontato tra i ripassoni, qualche momento di panico, le partite dell’Italia agli Europei e la speciale convivenza con la mamma insegnante, Elena D’Incerti.
L’attesa
“La didattica a distanza è stata una passeggiata se la paragono a queste settimane di studio. In Dad ci si poteva distrarre almeno ogni tanto e nelle interrogazioni da casa una sbircitina era diventata praticamente normale, all’esame però non si potrà.
Il tempo per fare tutto non basta, anche perché, a dire la verità, non è un semplice ripasso, visto che alcuni argomenti del programma dobbiamo finirceli da soli. Mi chiedo, ad esempio, come farò a imparare adesso tutti gli anni che vanno dalla fine della Seconda guerra mondiale alla nascita dell’Europa. Ci sono tanti video e sintesi in rete, che magari mi serviranno, ma ho capito che bisogna anche essere capaci di sceglierseli bene. Io mi farò delle mappe concettuali come sempre e poi gli ultimi giorni studierò solo quelle. Lunedì italiano, martedì filosofia, mercoledì storia, ecc: solo così posso uscirne vivo. Matematica e fisica, che ho odiato per cinque anni, non avrò tempo di ripassarle: male che vada non farò collegamenti con le materie scientifiche, ma a una maturità linguistica i professori, che oltretutto mi conoscono, avranno un po’ di comprensione o compassione.
La mia strategia è puntare tutto sull’elaborato che parla di propaganda politica nella letteratura inglese, francese e spagnola. Lo ripeto tutti i giorni, anche col cronometro, perché a scuola gli ultimi giorni ci hanno fatto un po’ di terrorismo psicologico sulla durata, che non deve superare i 10 minuti. Il mio, veramente, mi dispiace tagliarlo: e poi cosa taglio? Dove lo taglio? Spero di avere tempo di raccontare la parte che mi piace di più e che ho scelto come copertina: una locandina pubblicitaria di matite disegnata da un futurista con cui posso spaziare dal design all’autarchia di Mussolini, ai simboli del totalitarismo, all’indottrinamento nelle scuole.
Mia madre un po’ mi aiuta perché da brava insegnante dice di conoscere tutte le ‘paturnie” dei professori e dei presidenti di commissione, ma allo stesso tempo aumenta le mie ansie, perché con lei è come avere la scuola anche a casa giorno e notte.
Anche la chat di classe ha due facce: ci aiutiamo, ci incoraggiamo, ma purtroppo, dopo il primo giorno di orali, i messaggi fanno anche crescere i dubbi. A un mio amico, per esempio, hanno proposto una foto di Giolitti che a me farebbe parlare solo di storia, a un’altra una frase di Joyce che non so più nemmeno se ho ripassato abbastanza, un altro ancora si è trovato Darwin. Si può fare, ma aiuto!
Mi sono rimasti due antistress: le flessioni sulla sbarra appesa alla porta della mia camera e l’uscita tutte le sere prima di cena con altri impanicati come me. E poi, naturalmente, anche le partite dell’Italia viste con gli amici, almeno la nazionale vince alla grandissima.
La sera prima rivedo qualche schema e, senza concentrarmi nemmeno su quello, decido di guardare un film che avevo già visto dieci volte. Preferisco ripassare domani mattina presto, ammesso di riuscire a dormire”.
Il giorno dell’esame
“La prima buona notizia è che ho dormito. Mi alzo presto per riguardare tutto nel mio mega quaderno di appunti. Mia madre mi dice che ricorderò questo giorno per tanti anni, ma in questo preciso momento non so se ascoltarla e se crederci. Mio padre vorrebbe accompagnarmi a scuola, io però preferisco andare da solo e insieme a me voglio come testimone Filippo: ne abbiamo passate tante insieme ed è giusto condividere con lui anche questo momento.
Arrivo in anticipo e mi piazzo al bar di fronte a scuola, mentre la testa è un frullatore di fatti, idee filosofiche, personaggi, date, romanzi, poesie.
Prima di entrare, il prof di Italiano esce dalla classe per dirmi che è contento che mi sia vestito “da esame” e che andrà tutto bene; la prof di Inglese dice di non farle fare brutta figura, ma veramente sono io a volerne fare una almeno decente.
L’elaborato va via liscio, comprese le matite Fila di Mussolini; i professori fanno sì con la testa. Mi sembra che vada bene anche il racconto della mia esperienza di Pcto (ex alternanza scuola-lavoro, ndr) fatta due anni fa a Scuola Zoo (che bei ricordi!), ma so che adesso arrivano Italiano e il documento. Mi propongono il Manifesto del Futurismo, come mia madre aveva previsto, e per una volta penso che le madri insegnanti a qualcosa servono, visto che per scaramanzia mi ha detto anche stamattina presto di ripassarlo ancora.
Il documento invece è una citazione da Frankenstein e ho un momento di panico; ma quando mi danno una penna per organizzare sul foglio tutti i miei collegamenti è come se mi si aprissero tutte le sinapsi e inizio a parlare: storia, filosofia, tutto quello che serve (tranne matematica ovviamente). Solo la presidente mi mette un po’ in difficoltà, mentre i miei professori cercano di darmi una mano. Mi fa domande di educazione civica sull’integrazione razziale e sulle discriminazioni: non capisco bene il nesso con i discorsi che ho appena fatto, ma cerco di tirare fuori qualcosa parlando della Costituzione, che ho ripassato proprio ieri; forse però sto un po’ arrampicandomi sugli specchi.
Prima di uscire, frastornato come sono, mi pare di sentire che mi dicano qualcosa tipo ‘bravo ragazzo’ e spero che questo sia già un giudizio; intanto mi volto e vedo che anche Filippo sorride col pollice alzato. Speriamo!“.
Dopo l’esame
“I miei amici mi aspettano fuori da scuola; loro hanno già fatto tutti l’esame ieri e l’altro ieri. La prima impressione è di felicità per essermi tolto un peso.
Mi stappano una birra anche se è mezzogiorno e riesco a pensare soltanto che ho aspettato questo momento liberatorio per tantissimo tempo.
Non so se sarà veramente un giorno che ricorderò e non so se avrò rimpianti per il liceo, che in questi due anni non è stato nemmeno una vera scuola, ma una serie di aperture e chiusure senza fine.
Però, a parte la scelta dell’università che devo definire bene per non sbagliare, ho già dei progetti per le prossime settimane: il vaccino, l’esame per la patente, un viaggio in Grecia. E nel pomeriggio partiamo per il fine settimana al mare, finalmente in zona bianca, con Filippo, l’altro Filippo, Gio; è la prima volta che partiamo con uno di noi che guida la sua macchina. Che grande giornata!“.