Nell’ultimo anno, con la pandemia, i disturbi psichiatrici sono aumentati. Lo dicono gli esperti, emerge dai numeri delle richieste di ricovero nei reparti neuropsichiatrici degli ospedali. Tra quarantene, restrizioni anti-contagi e didattica a distanza, a soffrirne di più sono soprattutto gli adolescenti. Lo ha rilevato, dopo il primo lockdown, una ricerca della fondazione Mondino dell’istituto neurologico nazionale di Pavia, che ha coinvolto 1.600 adolescenti a livello nazionale tra i 12 e 17 anni. Erano emersi già i primi campanelli d’allarme. Che poi, in parte, si sono tradotti in disturbi più o meno gravi negli ultimi mesi, portando a un aumento anche delle richieste di ricovero, per tentativi di suicidio, autolesionismo, comportamenti aggressivi, allucinazioni.
E anche per disturbi del comportamento alimentare. Proprio di questi parleremo oggi, 15 marzo 2021, in occasione della Giornata nazionale del “Fiocchetto lilla”, a loro dedicata.
Sono circa tre milioni le persone che ne soffrono in Italia. Un dato che, osserva la psicoterapeuta Valentina Carretta – che è stata presidente del Centro italiano disturbi alimentari e dipendenze e autrice di diversi articoli su questi temi – “purtroppo, è in costante aumento, con un’importante accelerazione osservata durante il lockdown”.
Secondo i dati resi noti dal Centro nazionale per il controllo e la prevenzione delle malattie, se si considera il primo semestre del 2020, c’è stato un aumento 30 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In particolar modo, spiega Carretta, “fra i ragazzi sotto i 14 anni, ovvero in quella fascia d’età che più ha sofferto, e continua a soffrire, dei continui lockdown, dell’apertura e chiusura delle scuole, della lontananza dagli amici, della claustrofobica chiusura in casa, della solitudine laddove non vi sono fratelli o sorelle ad alleviare la fatica di questo momento”.
E durante il lockdown dello scorso anno, “molte strutture che si occupano di pazienti che soffrono di disturbi alimentari sono rimaste chiuse per lungo tempo, altre hanno funzionato a regimi molto ridotti, e questo ha portato ad un rallentato delle diagnosi, delle cure, e, in diversi casi, ha avuto come conseguenza un aggravamento dei quadri clinici”.
Ma di che si tratta? Anoressia, bulimia, obesità, binge eating (disturbo da alimentazione incontrollata), arfid (disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo): “sono malattie complesse di natura psicologica, le cui cause sono multifattoriali e i cui effetti possono portare a gravi ripercussioni sullo stato di salute fisica e mentale, sulle relazioni sociali, sulle capacità lavorative o scolastiche, e possono condurre, nei casi più gravi, anche alla morte”, spiega Carretta. “Possono essere considerati delle modalità differenti di esprimere, con il corpo, un profondo disagio personale, che a parole risulta difficile da esternare”.
E se “sono sempre state considerate patologie quasi esclusivamente al femminile, legate all’adolescenza”, non è così. Sempre di più coinvolge anche i maschi e “anche la forbice anagrafica si sta ampliando portando in terapia soggetti già di 8/9 anni così come di 50/60 anni”. Sono disturbi ormai “così diffusi da essere considerati una vera epidemia sociale”. Ma “il dato più allarmante, è che sono diventati la prima causa di morte tra le malattie psichiatriche e la seconda tra i giovani dopo gli incidenti stradali”, aggiunge Carretta.
Dai disturbi del comportamento alimentare è possibile guarire, “ma serve l’aiuto di tutti per un’efficace sensibilizzazione e circolazione delle informazioni che consenta di cogliere e riconoscere per tempo i segnali di disagio che possono portare a sviluppare un disturbo alimentare”.
I genitori e gli insegnanti, ad esempio, “possono avere un ruolo importantissimo nella fase della prevenzione laddove sono i primi a poter cogliere determinati campanelli d’allarme che possono far innalzare il livello di attenzione”. E poi è importante una diagnosi precoce e avviare tempestivamente “un percorso terapeutico multidisciplinare che coinvolga psicoterapeuta, nutrizionista, medico di famiglia o pediatra e psichiatra”.