In pochi lo ricorderanno, ma al Piccolo Teatro di Milano l’ultimo spettacolo andato in scena prima che la pandemia facesse calare il sipario è stato il “Faust” di Goethe. Scorrendo i nomi degli attori sulla locandina, l’ultima della stagione segnata dal coronavirus, c’è Francesca Gabucci, 31 anni, di Pesaro. Per lei, performer e regista con un talento musicale, è la prima volta sul palcoscenico del più importante teatro italiano, il primo stabile, uno dei più prestigiosi al mondo. Fondato nel 1947 da Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Nina Vinchi.
“Recitare al Piccolo è stata una delle sorprese più grandi e inaspettate che mi siano mai capitate nella vita. Con la testa e l’anima piena di gratitudine per la vita, che realizzava quello che tante volte avevo fantasticato, io e la compagnia siamo arrivati a Milano il 17 febbraio 2020”. Sei giorni dopo però i teatri di Milano chiudono e le repliche si interrompono.
In questa lettera intensa, Francesca ci racconta le emozioni che lei e la compagnia di attori di quell’ultimo spettacolo hanno vissuto in quei giorni, quando la Lombardia è stata travolta dalle notizie dei primi focolai mentre le luci del palcoscenico si spegnevano.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera:
“Sono Francesca Gabucci, un’attrice e performer, a volte regista. Mi innamoro di alcuni testi e cerco di fare di tutto per metterli in scena. A trent’anni, nel 2020, mi è capitata una delle sorprese più grandi e inaspettate: la programmazione di due settimane di spettacolo a cui partecipo come attrice al Piccolo Teatro Grassi di Milano. Il primo stabile d’Italia. ‘Teatro d’arte per tutti’: il suo slogan fin dalla nascita.
La storica sede di via Rovello – dove Giorgio Strehler ha messo in scena gran parte dei suoi spettacoli, compresi i miei adorati ‘Elvira’ e ‘La Tempesta’ – avrebbe accolto anche me tra i suoi attori, a calcare le assi del palco che aveva visto magie di ogni tipo, immaginate e scatenate da uomini che nel dopoguerra ebbero il coraggio di dar vita a quello che sarebbe diventato, a tutti gli effetti, il luogo mitico e onirico dell’arte teatrale.
Con la testa e l’anima piena di tutti questi pensieri, di gratitudine per la vita, che realizzava quello che tante volte avevo fantasticato, io e la compagnia siamo arrivati a Milano il 17 febbraio 2020, pronti a cominciare le nostre repliche di ‘Scene da Faust’ l’indomani.
E così è stato. Ci siamo addentrati nei camerini che conservavano ancora l’aura di tutti gli artisti e le artiste che hanno fatto la storia del teatro; ci siamo appesi a testa in giù laddove anche Giulia Lazzarini si era appesa per volare nei panni di Ariel.
Il teatro ci ha accolti facendoci sentire importanti, con una cura che non tutti riescono ad avere verso noi, scarrozzanti attori in tournée sempre affaticati dai viaggi, le valigie da trascinare, le notti in letti sempre diversi, sperando che le recensioni di Airbnb non abbiano mentito.
Emblema di questa cura, la scatola di cioccolatini della Martesana sul tavolino di ognuno in camerino.
Sera dopo sera, ho tentato di non essere sopraffatta da tutta l’emozione che la coscienza di essere su quel palco mi provocava, soprattutto nel momento in cui dovevo cantare un lied di Gustav Mahler, magari intravedendo attori o registi la cui lusingante presenza tra i nostri spettatori mi sarei segnata sul diario a fine replica.
La storia che ci ha raggiunti a Milano, però, la conosciamo bene, quindi non ci sarà nessun coup de theatre nel ricordare che, fin dalla mattina di sabato 22 febbraio 2020, tutta una serie di notizie minacciose sul virus propagatosi da Wuhan, l’emergenza internazionale – proprio nei giorni della Fashion Week, con la città invasa da modelli e modelle, stilisti, giornalisti e influencer provenienti da tutto il mondo – ci travolgevano e alla velocità della luce si trasformavano in realtà.
Ricordo bene che mi aggiravo per le strade con una eccessiva quantità di adrenalina in corpo, con la percezione di vivere una finzione nell’atmosfera paradossale, quasi eccitante nel suo essere estrema, incredibile. Come fossimo tutti protagonisti di un film di Roland Emmerich. Avvertivo le cose solite amplificate, la presenza delle persone per strada come più significativa. Vivevo, insomma, più vita in quelle ore di incertezza, di imminenza, di incognite.
Non nascondo che la sera del sabato, dopo la replica, ci spingemmo oltre alcuni limiti – più in là del solito – come volendo affermare la nostra vita contro qualsiasi ipotesi che limitasse la nostra libertà. Totalmente scettici, in rivolta, rispetto alle notizie che ci raggiungevano.
La mattina del 23 febbraio è poi iniziato il momento delle sospensioni e delle attese delle sospensioni, e delle attese delle conferme delle sospensioni… Un tempo in cui, saltata la prima replica di domenica, ci siamo incontrati nel chiostro del teatro dopo aver svuotato i nostri camerini. Le ore in cui io, una mia collega attrice e il fonico dello spettacolo abbiamo aspettato leggendo tra noi alcuni drammi di Caryl Churchill perché non volevamo perdere un istante, perché avevamo fame di godere di quei momenti insieme.
La seconda settimana di programmazione non ci ha più visti in scena, ovviamente. C’è stato lo scioglimento della compagnia. Ognuno è tornato alle proprie case.
A Milano, Bergamo e in provincia di Monza Brianza sarei dovuta tornare a fare lezione di teatro, a scuola, da marzo a giugno. Di fatto, non sono più tornata in Lombardia da quella fine di febbraio.
Ora vivo a Roma, dove cerco in qualche modo di continuare a fare il mio mestiere, al cinema. Continuo a fare provini, progetti, programmi e collaboro con una nascente casa di produzione come aiuto regista, continuando a sperimentare ciò che avevo iniziato in solitaria nel primo lockdown, facendo video con la mia neo acquisita Sony Alpha7.
Avevo messo in conto di non guadagnare in questi mesi a Roma, che forse mi sarei trovata nel ‘vuoto’, con troppo tempo libero. E, invece, nella grande famiglia del mondo dello spettacolo dal vivo e non, continuiamo a creare, a sostenerci, a essere pronti, a sperare, a sbarcare il lunario e a vivere di bellezza. Da piccole ipotesi e proposte che hanno acceso la mia curiosità, di cui spesso non vedo il limite, e da tutti i miei ‘sì certo, lo faccio, perché no’, mi accorgo di trovarmi sempre in movimento, in attività, contenta o sfinita o in lacrime, ma con amici.
Al momento, il prossimo orizzonte lavorativo concreto si apre il primo marzo per uno spettacolo del regista belga Alexander Devriendt. Tutto si svolgerà in inglese e su Zoom. Nei mesi successivi il programma della mia agenda mi rincuora un po’. Sembra che i progetti si riavviino.
L’avventura è comunque ora e non voglio certo aspettare per viverla”.