Il primo derby di Milano ai tempi del coronavirus si è disputato a porte chiuse: non era mai successo in 111 anni di storia. In uno stadio di San Siro praticamente vuoto – non più di mille gli spettatori invitati – la vittoria se l’è portata a casa il Milan con due gol di Zlatan Ibrahimović. A 39 anni, reduce dal Covid e a pochi giorni dal tampone negativo che gli ha consentito il rientro, è il giocatore più anziano ad avere segnato nella storia del derby della Madonnina.
Intanto il calcio fa i conti con il tabellone dei positivi. Molte squadre della Serie A sono alle prese con nuovi contagi da coronavirus e sono solamente due quelle che, ad oggi, non sono ancora state toccate: Bologna e Udinese.
Preoccupa la situazione fuori e dentro gli stadi. E l’appello al senso civico non sempre viene rispettato. In occasione del derby, una folla di ultras di Inter e Milan, senza distanziamento e con qualche mascherina assente, si è organizzata per non rinunciare a San Siro e sostenere le squadre poco prima del fischio d’inizio.
Le immagini degli assembramenti fuori da San Siro arrivano nelle case degli italiani mentre il governo sta studiando nuove misure più stringenti per contenere la diffusione del contagio. E intanto, la maggior parte dei tifosi, non potendo andare allo stadio, ha seguito il derby da casa.
Abbiamo chiesto a due tifosi milanesi – un interista e una milanista – di raccontarci sensazioni, emozioni e atmosfera di questo strano derby ai tempi del distanziamento sociale.
Ci scrive Alessandro Bai, 29 anni, interista.
“Quando suona la sveglia non si scappa, il pensiero è quello: è il giorno del derby. Da questo punto di vista, non sembra cambiato niente, ma Milano dice un’altra verità. La gente in mascherina, per strada, ha altri pensieri. Niente bandiere, maglie o bancarelle che si preparano mettendosi sulle rive del solito fiume di tifosi. L’incrocio di via Novara che mostra lo stadio sullo sfondo è poco affollato, perlopiù di macchine che entrano o escono dal supermercato. Non c’è la caccia all’ultimo parcheggio, la coda alla panetteria o il vigile che dice quando attraversare.
La cosa che manca di più, però, è il pranzo con gli amici: una tradizione nata quasi senza accorgercene solo per trovare il pretesto di vivere insieme le ore che ti accompagnano alla partita più sentita dell’anno, che tu sia milanista o interista. Pranzi da dieci persone sono vietati, o quantomeno sconsigliati, e allora niente brindisi e cori, abbracci e spintoni, gufate o scaramanzie. Ci si trova in pochi, distanti e un po’ diversi dal solito. Provi a dire: “Come la vedi stasera?”, ma la risposta ti riporta alla realtà. “Non sono neanche teso, non posso crederci di non essere allo stadio”. Che poi non è mai vero, si è sempre tesi per il derby, ma fa strano non camminare insieme verso San Siro, sentire la tensione che sale, un altro brindisi al parchetto e poi ci si separa: noi verso una curva, loro verso l’altra.
Al posto della tessera appoggiata, la luce verde e il tornello che gira ci sono dieci minuti di macchina per spostarsi da casa, andiamo dall’amico che ha Sky e siamo comodi. Ed è pure milanista, pensa te, il primo derby visto da casa in sette anni.
Penso a come sarebbe attraversare il piazzale, sentire il profumo di salamella e fare lo slalom tra i tifosi, prima di salire le scale verso il nostro settore. Ci si prova ad accontentare del divano, anche perché quando l’arbitro fischia non si riesce a pensare ad altro. Una cosa però l’abbiamo evitata: il rumore della curva loro che esplode, in mezzo a uno stadio in silenzio. Piccole consolazioni, anche perché l’avremmo sentito due volte in tre minuti, un po’ troppo. Ma quanto sarebbe stato bello cadere l’uno sull’altro per un gol, anche se inutile, e rialzarsi pieni di speranza. È andata male alla fine, e a casa di un milanista c’era da aspettarselo, ma prima o poi doveva accadere. Si pensa già al prossimo derby, ma non tanto al risultato: chissà se potremo esserci anche noi, chissà quando ci ridaranno il Derby”.
Ci scrive Silvia Galbiati, 33 anni, milanista.
“Per spiegare il valore e l’importanza del derby a Milano basta pensare che non si parla mai solo della partita, ma di ‘settimana del derby’. Una settimana di routine e di abitudini: si inizia il lunedì con quell’ansia che ti prende la bocca dello stomaco, si va avanti nei giorni successivi in cui ogni conversazione con altri tifosi ha sempre un accenno a ‘quanto manca’, si arriva al giovedì/venerdì in cui ci si lamenta delle probabili scelte dell’allenatore e si inizia a sperare nell’infortunio dell’ultimo minuto di qualche giocatore avversario. E poi il momento clou, la partita, San Siro. Ho visto più di venti derby allo stadio, eppure quell’emozione che mi prende salendo gli ultimi gradini prima dell’esplosione delle urla di 80mila tifosi, dei colori, della musica e dell’abbraccio di chi un quel momento desidera la stessa cosa che desideri tu, è sempre la stessa, identica. Ed è forse la cosa che mi è mancata di più.
Il primo ‘derby da coronavirus’ è stato molto diverso, molto meno intenso. A partire dalla famosa ‘settimana del derby’: preoccuparsi e agitarsi in vista della partita è diventato improvvisamente insensato di fronte ai numeri dei contagi che continuavano a salire e al posto di pensare ad eventuali infortuni e formazioni, abbiamo iniziato a sperare che nessun giocatore risultasse positivo in vista della partita.
Poi a metà settimana è arrivato il momento di pensare a come, dove e con chi vedere la partita. Subito scartata l’opzione ‘compagni di stadio’, cinque scatenati over 60 che per prevenzione decidono di rimanere a casa, ma che ogni giorno della settimana mi mandano almeno un messaggio vocale per caricarmi e ingannare l’attesa. Alla fine tra messaggi e telefonate ci ritroviamo in sette amici orfani dello stadio e iniziamo a proporre opzioni sul luogo in cui vederci. Ci sono i bar, ma c’è chi non si sente sicuro in mezzo a tanta gente sconosciuta, ci sono le case, ma sono piccole e poi siamo sette, il decreto non ce lo permette. Stiamo quasi per abbandonare l’idea fino a quando uno degli altri improvvisamente si tira indietro per impegni familiari e il proprietario della casa più grande ci offre ospitalità: è fatta.
Ci troviamo mezz’ora prima della partita, ma l’atmosfera è diversa dal solito: nonostante c’è chi indossi sciarpe e maglie rossonere, non si parla delle scelte di Pioli o del modulo dell’Inter, ma di numeri del contagio, di quell’amico che è risultato positivo, di quello che sta aspettando il tampone e, al massimo, ci chiediamo come Ibrahimovic si sarà ripreso dal Covid. Qualcuno indossa la mascherina, ci sediamo distanziati e stiamo tutti attenti a dove appoggiamo le nostre birre, per paura di scambiarcele.
Le immagini dello stadio vuoto sono un colpo al cuore, ma non riusciamo neanche a provare invidia per quei mille spettatori seduti in primo anello rosso: quel silenzio e quel vuoto non sono lo stadio che conosciamo, soprattutto durante un derby.
Inizia la partita, il Milan gioca e poi segna, noi ci alziamo in piedi e urliamo, forte, fortissimo, ma non ci abbracciamo, non saltiamo insieme come abbiamo sempre fatto, due si danno il gomito con espressioni confuse e dubbiose, stiamo imparando a come esultare da soli, senza gli altri. Il Milan segna ancora, poi tocca all’Inter, ora bisogna resistere. Ognuno di noi vive l’ansia e la preoccupazione da solo, al suo posto, in attesa della fine.
Finisce 2-1, il Milan vince il derby dopo più di quattro anni e l’urlo liberatorio di tutti noi ci unisce anche se distanti. Alcuni si affacciano al balcone per festeggiare con dei ragazzi nel bar sotto casa, io guardo le immagini di San Siro vuoto e mi sento vuota anche io: immagino a come avrei potuto vivere questa vittoria là in mezzo a tutte quelle persone che come me aspettavano questo momento da tanto, agli abbracci stretti stretti, ai ‘cinque’ dati agli sconosciuti, ai balletti e alle esultanze che quest’anno non abbiamo potuto fare.
Lo stadio mi manca forse più di tutto il resto e penso mi mancherà ancora per tantissimo tempo, ma so che è giusto così e spero solo che quando torneremo, il derby a San Siro sarà ancora più speciale”.
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