Si può raccontare una pandemia con l’arte? Noi ci abbiamo provato. In questa calda estate milanese siamo andate a visitare la Pinacoteca di Brera e lì, passeggiando tra le 38 sale del museo voluto da Maria Teresa d’Austria, abbiamo trovato l’ispirazione.
Ne è nato un percorso tematico che racconta quello che abbiamo vissuto in questi mesi e, con un po’ di creatività, fa dialogare i più grandi maestri della storia dell’arte, da Raffaello a Boccioni, con i fatti e i protagonisti della pandemia. Scopriamo così che il celebre “bacio” di Hayez è perfetto per raccontare la quarantena degli innamorati separati dal lockdown. O che un san Pietro martire del Cinquecento può dirci molto sugli effetti, non sempre benefici, dello smart working. E che la fotografia dell’infermiera, poi diventata virale, che per la stanchezza crolla sulla scrivania ha prodotto sulla popolazione lo stesso effetto delle icone conservate dalle confraternite nel Medioevo: fare pensare.
Ripercorrendo alcuni dei più celebri capolavori esposti alla Pinacoteca di Brera (ad agosto l’ingresso è gratuito, su prenotazione) vi proponiamo un itinerario sulla storia del coronavirus in Italia. Una selezione di 19 dipinti, come la sigla che compone il nome di questa malattia individuata alla fine del 2019.
I fatti di cronaca si mescolano ai sentimenti e alle faccende private in un gioco di rimandi alla bellezza e all’arte. Senza dimenticare anche gli aspetti più ironici del periodo appena vissuto. Un esempio: chi, in questi mesi, guardandosi allo specchio, non si è sentito spettinato come uno di quei leoni che spesso compaiono a fianco di santi e martiri?
Se nell’Ottocento i viaggiatori importarono il culto per le odalische – le splendide donne segregate negli harem conosciute tramite i racconti dei viaggiatori e poi protagoniste di importanti dipinti, come questo di Francesco Hayez – nel Novecento i sogni proibiti lasciano il posto agli incubi delle epidemie. È in Oriente che si sviluppano, ad esempio, l’asiatica del 1957, l’influenza di Hong Kong del 1968 e la Sars. Fino al più recente Covid-19. Virus che arrivano dall’Oriente e si diffondono in Europa portati dai viaggiatori.
Dicembre 2019: il coronavirus fa la sua prima comparsa a Wuhan, in Cina, metropoli da 11 milioni di abitanti. Poco più di quelli che vivono in Lombardia. L’epicentro della diffusione del virus sconosciuto viene individuata nel mercato del pesce, dove negli stessi spazi si mescolavano persone e animali, anche selvatici, vivi e morti, in scarse condizioni igieniche. Il 7 gennaio le autorità cinesi confermano di aver identificato un nuovo tipo di virus, un coronavirus, la stessa famiglia di cui fanno parte, tra gli altri, l’influenza, la Sars e la Mers. Il coronavirus si diffonde presto in altri paesi vicini: Thailandia, Corea del Sud, Giappone e Australia. Il 30 gennaio l’Italia sospende i voli da e per la Cina. Ma non è sufficiente a contenere il virus. Il 31 gennaio il Presidente del consiglio, Giuseppe Conte, dichiara l’emergenza sanitaria nazionale e annuncia i primi due casi di contagio in Italia: si tratta di due turisti cinesi. Il SARS-CoV-2 non conosce confini e arriva anche in Europa. Ci arriva, proprio come il culto per le odalische, tramite i viaggiatori.
Ma il virus non ha la bellezza e il fascino delle odalische. Di queste creature ne conserva solo il mistero. È il settimo coronavirus scoperto in grado di infettare esseri umani. Parte la guerra di medici e scienziati contro il nemico ignoto, ma, dopo sei mesi di epidemia, nasconde ancora tanti segreti. Intanto, non solo per un gioco di parole, resta il sovrano in ogni campo del sapere. Oggetto di ricerca ossessiva da parte di buona parte della scienza, dalla medicina alla fisica fino all’intelligenza artificiale, ma anche ispiratore, loro malgrado, di artisti, illustratori e fumettisti, che in questi mesi lo hanno ritratto per quello che è: malvagio, brutto e cattivo. Come da tradizione. La storia dell’arte ne è piena: il cattivo è un brutto per antonomasia. Lo insegna anche Jusepe de Ribera, che in questo dipinto ha immaginato così i soldati che deridono Gesù: come se la bruttezza interiore ne deformasse l’aspetto.
21 febbraio 2020: Mattia, un uomo di 38 anni residente a Codogno risulta positivo al coronavirus. Nel giro di poche ore altre quattordici persone risultano contagiate. Lo stesso giorno muore Adriano Trevisan, di 78 anni, residente a Vo’ Euganeo: è la prima vittima italiana per Covid-19. Morirà solo nella terapia intensiva dell’ospedale di Schiavonia, a Padova. E sarà questo il destino di molti: c’è chi ha detto addio alla madre in videochiamata, chi si è reso conto che nel corso dei giorni la vita di un genitore si stava spegnendo via Skype. Il Covid-19 ruba le ultime carezze, negli ospedali e a casa si muore soli a causa delle stringenti regole imposte per contenere la diffusione del virus. E, per legge, si viene sepolti quasi da soli: i funerali saranno vietati fino al 4 maggio, è concessa solo una breve benedizione o un saluto laico al cimitero. Se ne sono andati così quasi trentamila morti affetti da Covid-19.
Il coronavirus nega anche l’ultimo saluto: un rito universale antichissimo, come mostra questo celebre dipinto di Andrea Mantegna dove, secondo un’iconografia classica, il corpo di Cristo morto non è solo, ma circondato dai “dolenti”, le figure che lo compiangono: la Vergine Maria, che si asciuga le lacrime con un fazzoletto, san Giovanni, che piange e tiene le mani unite e, sullo sfondo, la figura di una donna che si dispera. C’è la cura dei corpi, che spesso vengono lavati, rivestiti, decorati, unti con olii o avvolti in stoffe. È il primo passo per elaborare il lutto: rituali collettivi che si sono tramandati fino a oggi, ma che in questi mesi vengono negati.
D’un tratto la morte si impossessa dei telegiornali e invade i social network. L’attesa per il bollettino delle 18 della Protezione civile – quello sperare con tutte le forze che il numero dei contagi s’abbassi – diventa un nuovo rito collettivo, un contatto comune con la morte. Durerà fino al 30 aprile, quando le conferenze stampa in diretta tv verranno sospese definitivamente.
“È fondamentale stare a casa e allontanarsi da propri cari e amici. La prevenzione è indispensabile. Non si può sapere chi è contagiato. Io sono stato molto fortunato, da questa malattia si può guarire”. È il 23 marzo 2020. Mattia, il paziente uno di Codogno, esce dalla terapia intensiva e manda questo messaggio all’Italia. Un mese dopo il ricovero e la diagnosi. Sta per diventare papà.
“Io sono stato molto fortunato”, dice Mattia. È una delle prime frasi che pronuncia quando torna a respirare. E proprio la fortuna sarà una parola ricorrente nella narrazione che giornalisti, scienziati e pazienti fanno in questi mesi. La si invoca per scongiurare nuove ondate, per constatare l’assenza di contagi o perdite in famiglia, per testare l’efficacia di alcuni farmaci. La fortuna, ci ricorda questo dipinto di Lorenzo Leombruno, domina le nostre vite mentre distribuisce, seguendo i propri capricci, la buona e la cattiva sorte.
“Chi disse ‘preferisco avere fortuna che talento’ percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no, e allora si perde” (Woody Allen, “Match Point”)
In questi mesi il coronavirus non ha scatenato solo la fantasia degli artisti, ma anche quella dei cosiddetti “covidioti”, i complottisti sul Covid-19. Dalle piazze di Berlino ai video su YouTube, che diffondono notizie false e registrano milioni di visualizzazioni, non sono mancate ventate di scetticismo scientifico. L’ultima teoria si chiama “Plandemics” – un documentario-bufala ritirato da Facebook e da Youtube – in cui si mettono insieme una serie di bufale sul coronavirus in un disegno più ampio, quello di un piano dei ricchi del mondo che “hanno diffuso il coronavirus per aumentare i tassi di vaccinazione”. I complottisti, quelli che non hanno fiducia nella scienza, si sono messi a cercare ovunque “i segnali” della cospirazione mondiale, tra 5G e Bill Gates. Fanno come San Tommaso in questo dipinto di Lorenzo Lotto, che prendendosi gioco della proverbiale incredulità dell’apostolo, lo raffigura con un paio di occhialini nell’intento di vedere se la Vergine Maria sia davvero ascesa al cielo.
“Uno dei rischi più grandi è l’imbarbarimento del vivere civile”. Lo ha scritto, in una bellissima lettera inviata ai suoi studenti e poi diventata virale, Domenico Squillace, il preside del liceo scientifico Volta di Milano. Era il 26 febbraio, da pochi giorni il governo aveva chiuso le scuole in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Da quel momento, Alessandro Manzoni ha accompagnato la narrazione quotidiana sul coronavirus, in Italia e non solo. Il riferimento è ai “Promessi Sposi”, il capolavoro di Alessandro Manzoni e all’epidemia di peste, che si abbatté su Milano nel 1630. Capolavoro che fu stampato a fascicoli illustrati, su suggerimento della moglie dello scrittore, Teresa.
Il 4 marzo le scuole chiudono in tutta Italia. In questi giorni confusi, scrive il preside Squillace, “vi consiglio di leggere questo testo con attenzione. Dentro quelle pagine c’è già tutto: la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria. Insomma più che dal romanzo del Manzoni, quelle parole sembrano sbucate fuori dalle pagine di un giornale di oggi”.
Del resto, le epidemie della storia sono sempre anche delle grandi metafore di vita. Non a caso hanno alimentato tanta letteratura e ci dicono molto di noi: svelano pulsioni inconfessabili, mettono alla prova la ragione e i sentimenti. E innescano cambiamenti sociali.
Il 7 marzo 2020 la Lombardia diventa “zona rossa”. I casi di contagio sono in forte crescita e inizia a emergere il dramma della provincia bergamasca. Dal pomeriggio circola sui media una bozza del dpcm che prevede misure restrittive in tutta la regione. L’indiscrezione, poi diventata ufficiale in serata, causa un esodo verso il Sud di chi cerca di fare ritorno ai propri luoghi di origine. Nei due scali milanesi, a Garibaldi e alla stazione Centrale, più di cinquecento persone hanno cercato di salire sugli ultimi convogli in partenza verso le regioni meridionali ancora prima che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nella notte, firmasse il decreto. Un assalto ai treni che ricorda lo stato di agitazione della folla raffigurato in questo dipinto di Umberto Boccioni. Affascinato dallo spirito tecnologico che animava la città di Milano, fu tra i firmatari del Manifesto del Futurismo del 1910 e divenne, nell’ambito artistico, il maggiore interprete e teorico.
La sera del 9 marzo Giuseppe Conte annuncia agli italiani che “purtroppo non c’è più tempo”: troppi malati, troppi morti (le vittime erano 463, ora sono più di 35 mila). L’Italia si ferma: le misure di contenimento sono estese in tutto il territorio. È il primo tra gli stati occidentali ad adottare misure così severe e restrittive. L’Italia è in lockdown, una parola che da quel giorno entrerà nel vocabolario collettivo. E ci resterà fino al 18 maggio. Si adottano misure di confinamento straordinarie per evitare la diffusione della malattia, bloccando sia lo spostamento degli italiani dentro il Paese sia gli ingressi da paesi stranieri. Il giorno dopo l’Organizzazione mondiale della sanità annuncia: è pandemia. Vengono sospese quasi tutte le attività produttive, chiusi i parchi, vietato lo sport se non nei pressi della propria abitazione. Gli italiani resteranno chiusi in casa per tre mesi. Come la fanciulla ritratta in questo dipinto di Girolamo Induno, per molti la casa si trasforma in una piccola prigione. È il caso, ad esempio, degli studenti fuori sede che si trovano da soli e costretti nei pochi metri quadri della propria camera a Milano, Bergamo, Pavia. Secondo quanto emerge da un’indagine nazionale, condotta dal Dipartimento di Salute pubblica dell’Istituto Mario Negri di Milano, la quarantena ha segnato, e non poco, gli italiani: più della metà degli intervistati ha riportato un impatto psicologico durante il confinamento e sono aumentati coloro che che presentano sintomi d’ansia e depressione. A soffrire maggiormente, donne, disoccupati e residenti in abitazioni piccole.
Elena Pagliarini, infermiera all’ospedale di Cremona, crolla dalla stanchezza durante il turno di lavoro mentre indossa ancora camice, mascherina e guanti. La foto, scattata da un collega alle 6 del mattino, fa il giro del mondo: diventa il simbolo della lotta contro il coronavirus. Dopo quel momento, l’infermiera ha scoperto di essere positiva ed è stata posta in isolamento, in attesa di guarire. Sono i giorni più bui. Medici e infermieri in corsia sono chiamati a sforzi sovrumani: lottano senza sosta per salvare quante più vite possibili. “Quella notte ero stremata, scusate se sono crollata prima della fine del turno”, dirà poi Elena Pagliarini, 40 anni, da 15 in ospedale. La foto diventa virale, la riprende anche la stampa internazionale per raccontare quello che sta succedendo in Italia: è un’immagine d’impatto. La testa appoggiata sulla tastiera del computer ricorda un’altra testa, quella di san Giovanni Battista ritratto da Marco Palmezzano. L’iconografia delle teste, in passato, era utilizzata dalle confraternite religiose perché ispiravano la meditazione per via della loro forte caratterizzazione pietista. In un modo non differente da questa foto diffusa su Facebook.
Il lockdown ha imposto lo smart working. Il lavoro di quasi due milioni di italiani si trasferisce dall’ufficio a casa. Accolto con entusiasmo per i suoi indubbi benefici (per la flessibilità di orari, perché si risparmia il tempo e i costi del tragitto e si evita di pranzare fuori), presto si sono fatti sentire gli effetti, non tutti positivi, del lavoro a distanza. Ansia, stress e un’ora di lavoro in più al giorno in media. Per molti lo smart working potrebbe essere rappresentato come in questo san Pietro martire dipinto da Cima da Conegliano: si è rivelato come una tegola sulla testa. Così come la didattica a distanza che ha messo a dura prova docenti, studenti e intere famiglie, alle prese con condivisione del computer – quando i dispositivi non erano del tutto assenti o non sufficienti – tempo da dividere tra il lavoro e le lezioni dei figli più piccoli e connessioni internet traballanti.
Orfani di parrucchieri ed estetisti, con la chiusura imposta dal lockdown, ma spesso ricchi di tempo libero, gli italiani, alle prese con barbe e capelli sempre più lunghi, si sono improvvisati hair stylist, seguendo tutorial su YouTube. Non sempre con buoni risultati. Eccolo il lato frivolo del coronavirus: dai video su come mettere lo smalto o come coprire i ciuffi bianchi con tecniche più o meno sofisticate, ai segreti per idratare il viso e mantenere la pelle giovane. Gli esperti di bellezza coccolano le folle disorientate con i loro preziosi consigli mentre i siti di e-commerce registrano boom di vendite di prodotti per la cura della persona. Ma c’è anche chi non vuole saperne di improvvisarsi nell’arte del taglio e si rassegna al corso degli eventi, lasciando che barba e capelli crescano in modo selvaggio, magari immaginando per sé nuovi look post quarantena. Come in questo dipinto di Callisto Piazza dove un san Girolamo hipster sembra uscire del quartiere milanese Isola o i dread del leone ai suoi piedi lasciano immaginare uno stile alla Bob Marley.
I fornelli diventano la principale “attività rifugio” per gli italiani: lo si vede nelle immagini di Instagram, negli aperitivi su Zoom, nel moltiplicarsi di canali di video-ricette su YouTube. Complice il lockdown, si tornano a fare pane e pizza preparati in casa. Il boom di vendite di farina e lievito di birra registrato tra marzo e aprile (+200 per cento) entra inevitabilmente nella storia sociale del virus. Come in questo dipinto di Vincenzo Campi, in cui una famiglia intera è alle prese con la preparazione di un banchetto, in lockdown si riscopre la bellezza di cucinare insieme.
L’assalto ai supermercati, le immagini degli scaffali vuoti, la saturazione delle piattaforme per la spesa online hanno spinto molti italiani a rivolgersi al negozio sotto casa. Si sono riscoperte così la bellezza del piccolo commercio e la bontà dei prodotti a chilometro zero, o quasi: il fruttivendolo, il macellaio, il panettiere. I punti vendita di quartiere, che sembravano destinati all’estinzione, stanno vivendo una seconda giovinezza. E riscopriamo i profumi dei prodotti di stagione, che riempiono le botteghe. Così come i colori della frutta appena raccolta circondano la “Fruttivendola” di Vincenzo Campi.
Il coronavirus, in poche settimane, ha un impatto devastante sull’economia e in particolare sull’Italia, che non si è ancora ripresa dalla crisi del 2008-2009. La preoccupazione per le conseguenze economiche globali a causa del virus investe i mercati finanziari. Il 13 marzo Wall Street segnerà il peggior calo giornaliero dal 1987. Servono misure d’emergenza. Ma dove trovare i soldi? Il suggerimento viene da questo dipinto di Mattia Petri, che narra l’episodio evangelico che si svolge a Cafarnao: Pietro pesca nel lago dove, in bocca a un pesce, trova la moneta per pagare il tributo dovuto dagli ebrei per accedere al tempio. All’Italia, il “pesce” lo regala l’Unione europea, con due misure eccezionali che passeranno alla storia. Il 20 marzo 2020 la Commissione europea sospende il patto di stabilità per permettere ai governi di “pompare nel sistema denaro finché serve”: è una sospensione temporanea, ma ha una portata storica. Il 21 luglio 2020, dopo quattro giorni e quattro notti di negoziati, il Consiglio europeo approva un piano di risanamento da 750 miliardi di euro: all’Italia saranno destinati 209 miliardi tra prestiti e sussidi.
Il 22 marzo un nuovo decreto del presidente del Consiglio vieta ai cittadini “di spostarsi in un Comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano”. Divise, in alcuni casi, per pochissimi chilometri e per questo condannate a non potersi riabbracciare, molte coppie vivranno a distanza anche per più di cinquanta giorni. I confini rimarranno invalicabili per diversi mesi. Gli amanti trascorrono la quarantena in solitudine e con il cuore spezzato fra la città in cui sono rimasti bloccati e quella dove vivono i loro affetti. Fino al 4 maggio, quando parte la Fase Due. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, annuncia che saranno consentite le visite ai familiari nella stessa regione, ma si solleva un polverone per l’utilizzo della parola “congiunti”. Poi dal governo arriva la precisazione: per “congiunti” si intendono “parenti e affini, coniuge, conviventi, fidanzati stabili, affetti stabili”. Gli innamorati possono tornare a baciarsi probabilmente con la stessa passione del capolavoro del Romanticismo di Francesco Hayez. A fianco, esposto in una delle ultime sale della Pinacoteca di Brera, c’è il dipinto di un altro bacio, meno famoso, ma altrettanto simbolico: è la “Partenza del garibaldino” di Girolamo Induno, che ritrae un giovane soldato con la casacca rossa, pronto ad arruolarsi nei Mille per unificare l’Italia. Con lo stesso ardore, nei mesi del coronavirus gli italiani riscoprono un nuovo patriottismo, quello del tricolore appeso alle finestre, delle cantate dal balcone e dell’appello all’unità del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 159esimo anniversario della proclamazione dell’unità d’Italia, che quest’anno cade nel mezzo di una delle emergenza sanitarie più gravi che il Paese ricordi. “Stiamo affrontando una nuova prova difficilissima”, annuncia. Il senso di comunità può aiutare tanti italiani a farsi forza e a trovare risorse per andare avanti. A Milano e a Torino si illuminano di verde, bianco e rosso Palazzo Lombardia, la torre dell’Unicredit e il monumento dedicato a Vittorio Emanuele II: sono il segno di un Paese che resiste.
“Questo matrimonio non s’ha da fare”: il decreto del 4 marzo sospende manifestazioni ed eventi che comportano affollamento di persone senza la garanzia della distanza di sicurezza. Tradotto: in Italia, tra marzo e aprile, sono stati cancellati 17 mila matrimoni. Solo con l’avvento della Fase Due, dal 18 maggio, si torneranno a celebrare le nozze rispettando però le regole di distanziamento e con un numero contingentato di invitati che potranno partecipare alla celebrazione in base alla capienza della chiesa o della sala. Restano vietati gli assembramenti per il tradizionale lancio del riso.
Se molte coppie avevano pianificato matrimoni da favola per quello che avrebbe dovuto essere il giorno più bello della nuova vita insieme, in questi mesi hanno dovuto fare i conti con un ospite indesiderato. Il coronavirus ha riscritto anche le regole delle celebrazioni degli innamorati, che si sono trovati di fronte a una scelta: rimandare le nozze a data da destinarsi oppure sposarsi lo stesso e vivere una giornata un po’ meno perfetta di come avrebbero immaginato. Cambiando prospettiva e riscrivendo nuove regole, come insegna Raffaello in questo capolavoro che ritrae lo sposalizio della Vergine e dove tutti gli elementi sono legati da relazioni matematiche di proporzione e sono disposti secondo un preciso e serrato ordine gerarchico. Del resto, Raffaello intendeva la bellezza come ordine astratto di rappresentazione geometrica e riteneva compito dell’artista “fare le cose non come le fa la natura, ma come ella le dovrebbe fare”.
Durante i mesi del lockdown sembrava impossibile. Poi è arrivato il bonus del governo che anche quest’anno ha salvato le vacanze degli italiani incentivando le ferie nel Belpaese. Gli italiani hanno riscoperto le bellezze di casa propria e, dopo mesi di isolamento forzato, hanno potuto rivivere anche l’esperienza di trascorrere del tempo in mezzo alla natura. Natura che è stata una delle protagoniste del lockdown quando dalle finestre e dai balconi abbiamo assistito alla pacifica invasione di papere, nutrie, tartarughe, gabbiani, aironi e altre specie selvatiche in una Milano deserta. La natura selvaggia in questi mesi è tornata a riprendersi i suoi spazi, regalandoci immagini suggestive che ci riportano al candore delle pennellate agresti di Giovanni Fattori o ai placidi paesaggi della campagna italica ritratti con un realismo quasi fotografico da Silvestro Lega.
Dal 15 luglio le discoteche e le sale da ballo all’aperto hanno riaperto in tutta Italia. Ma, dopo mesi di chiusura, la riapertura ora è al centro di un braccio di ferro fra governo e presidenti di regione. C’è la paura che la movida incontrollata possa fare di nuovo avanzare il coronavirus, come sta avvenendo in paesi come Croazia, Grecia, Malta e Spagna.
E c’è il rischio che si ritorni alla movida virtuale. Quella della quarantena, con i compleanni festeggiati su Skype e degli aperitivi su Zoom, dove però non si rinuncia a vestirsi bene e a presentarsi truccati ed eleganti davanti alla telecamera. Come questa inedita Madonna dipinta da Carlo Crivelli, abbigliata all’ultima moda. Una condizione quasi contraddittoria, che vede i giovani reclusi reinventarsi una nuova movida, dentro le pareti domestiche. E così, questa Vergine lussureggiante, con una veste dallo scollo quadrato di un rosso chic, i riccioli biondi e le sopracciglia delicate, diventa il simbolo della vita sociale di questi mesi.
La storia del coronavirus, per ora, finisce qui, con questa immagine di Lazzaro Bastiani: san Girolamo che toglie una spina dalla zampa di un leone. Ma per debellare la “spina” del coronavirus ci vuole il vaccino e serve fare presto perché i numeri globali della pandemia sono in crescita. La corsa contro il tempo è iniziata: sono oltre duecento le sperimentazioni in atto in tutto il mondo. Mai la scienza si era impegnata così tanto contro un virus. L’Italia è in prima linea. Lo è fin dall’inizio di questa epidemia: era il 27 febbraio quando Massimo Galli, primario del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, annuncia che il ceppo italiano del SARS-CoV-2 è stato isolato. Il merito è di un team composto da tre donne, tre ricercatrici italiane dell’istituto Spallanzani: Maria Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti. È il primo passo, fondamentale per sviluppare le terapie e il vaccino. E mettere la parola fine a questa pandemia.
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