L’Ortica, quartiere della periferia Est di Milano, è tante cose. Il quartiere-museo della street art. Il quartiere del movimento operaio e dell’industralizzazione. Il quartiere della Resistenza. Ma anche un luogo storico, un tempo rurale, fuori dai confini di Milano. E proprio qui, sorge una delle più antiche chiese della zona Est della città. Non bisogna lasciarsi ingannare dalla facciata esterna dell’edificio, in via Amadeo. Le sue radici affondano nel XII secolo ed è una piccola perla, custodita gelosamente dal quartiere. Tanto che si narra che in tempi “recenti” i fedeli della zona fossero andati a riprendersi le campane, trasportate in un altra chiesa quando il tempio dell’Ortica era stato chiuso e adibito ad altro utilizzo. Perché la storia di questa chiesetta è stata altalenante nei secoli, passando da periodi di alta frequentazione al disuso completo, fino a essere adibita addirittura a magazzino, per un periodo.
Intitolata ai Santi Faustino e Giovita – patroni di Brescia perché è posta lungo l’antica strada che portava alla città – da tempo immemore viene chiamata dai fedeli “Santuario della Madonna delle Grazie”. Come mai? Andiamo con ordine.
Scendendo dal cavalcavia e percorrendo via Ortica ci si trova davanti alla chiesetta. Qui sorgeva un borgo agricolo, lungo una via che anticamente conduceva a Brescia – ben lontano dai confini dell’attuale capoluogo lombardo – e che prendeva il nome di Cavriano. Con la distruzione di Milano nel 1162 per mano di Federico Barbarossa, i milanesi di Porta Orientale vennero esiliati tra i borghi circostanti di Lambrate e Cavriano.
Dopo la vittoria di Legnano della Lega lombarda contro il Barbarossa, nel 1176, si riaccese la speranza degli esuli di poter tornare a Milano. Consegnarono il loro desiderio in una preghiera alla Madonna e fecero dipingere l’affresco della Vergine con Bambino in grembo (1182). Un affresco notevole, in stile bizantino che ha portato i fedeli a rinominare la chiesetta in “Santuario della Madonna delle Grazie”. L’anno seguente, con la pace di Costanza, il Barbarossa sarà costretto a riconoscere l’autonomia comunale della città e i milanesi potranno finalmente tornare a casa.
Ma chi ci racconta questa storia? Nel 1979, a causa di alcune infiltrazioni, si decise di staccare questo affresco per conservarlo in maniera più sicura. E così venne alla luce un graffito con un testo in latino, in scrittura carolina, così tradotto:
“Questa (immagine) è preghiera, o Signore (il segno di croce), l’anno 1182 il 12 del mese di aprile, per ottenere la clemenza di Dio”. Firmato da “Silanus”, probabilmente il monaco che l’ha scritto o addirittura il pittore che ha realizzato l’affresco.
Oltre alle parole, spiccano i disegni che rappresentano le condizioni di vita del luogo. Si vede il profilo di un uomo che tiene in bocca un’anguilla, che simboleggia la pescosità del Lambro. Anatre selvatiche, il fiume che scende dalla Valassina in Brianza e infine, in basso a destra, il disegno di una porta, che rivela la nostalgia dei milanesi esuli e la loro speranza di poter presto fare ritorno in città.
Non più coperto e protetto dallo strato di intonaco e dall’affresco, questo graffito si sbiadisce nel tempo e rischia di scomparire velocemente. Per questo non è esposto al pubblico.
Ma le sorprese non finiscono qui. Con i vari restauri dell’edificio sono venuti alla luce altri dipinti di diversi stili e degni di nota. Come gli affreschi rinascimentali “realizzati con la tecnica dello spolvero”, spiega la guida turistica, Fedra Pavesi. “La stessa tecnica con cui gli street artist Orticanoodles, con materiali ovviamente più moderni, hanno realizzato i murales nel quartiere”, dice Pavesi, che sceglie di far partire i suoi tour all’Ortica, per mostrare i murales di Or.Me. – Ortica Memoria, partendo sempre da questa chiesa. Un punto d’inizio concettuale e storico, per l’arte e la geografia di questa zona.
Sul lato sinistro della navata compare un riquadro con un Cristo con le mani incrociate, che sembra ricordare la posa tradizionale dell’ “Ecce homo”, dopo l’arresto. Ma a ben guardare, ha i segni della crocifissione, rendendo la rappresentazione meno tradizionale e più enigmatica.
Enigmatica come gli occhi del Cristo che porta la croce lì sopra. Basta spostarsi per accorgersi di essere seguiti dal suo sguardo, come nel celebre quadro leonardesco della Monna Lisa.
E questo non è un caso. Una decina d’anni fa, il parroco ha deciso di far restaurare gli interni. Sotto all’intonaco sono stati trovati dei dipinti del Cinquecento della scuola leonardesca. Alcuni, sono attribuibili al “celebre anonimo” leonardesco – influenzato da Cesare da Sesto, da Bernardino Luini e da Bramantino – la cui mano ha prodotto diversi dipinti in città. Particolarmente interessante, in quella che per anni è stata la sacrestia – ma che in passato era probabilmente un loggiato aperto, che dava sulla strada – un'”Assunzione della Vergine”. Il gruppo degli Apostoli, non solo richiama all’arte di Leonardo da Vinci, ma cita addirittura i personaggi raffigurati nel suo celebre Cenacolo, custodito nella basilica di Santa Maria delle Grazie a Milano.
Un’ultima chicca di questa chiesa. Pare che in passato ci fosse un tunnel sotterraneo lungo centinaia di metri. La collegava a un monastero e alla chiesa di Sant’Ambrogio, di cui ora si conserva solo l’abside nella cascina omonima, che ospita l’associazione Cascinet, che promuove progetti di rigenerazione urbana e sociale e organizza eventi culturali. Alcuni abitanti, ancora, raccontano di averlo visto e averlo percorso fino a qualche decennio fa.