Siamo a fine febbraio. Le giornate in quarantena scorrono una dopo l’altra, tutte uguali. La Ila disegna, “a volte sembra in trance, altre volte impazzisce”. A un certo punto il pennarello si scarica e il marito si offre di passare in cartoleria mentre va a fare la spesa. L’inchiostro di china c’è, ma la cartolaia non può venderlo (pena la sanzione) perché non è un bene di prima necessità. “E invece lo è”, si impunta la Ila. Perché? Semplice. “Senza quel pennarello io non esisto, tu non esisti. E come fa l’umana a disegnarci?”.
L’umana è Ilaria Mozzi, 40 anni, illustratrice milanese trapianta in Brianza per amore. “La Ila” è il suo alter ego. “Sono io, ma in realtà ha vita propria: è quella di noi due che si permette di dire sfacciatamente quello che pensa. Ironica, lunatica, autocritica. È, insieme, buffa e serissima”. Un personaggio nato nell’estate del 1997 durante un viaggio a Parigi con i genitori, quando la professoressa di Grafica le assegnò un compito: “Raccontare le vacanze con un diario visivo”. E così, su un quaderno è spuntata per la prima volta “la Ila”: maglietta verde a righe arancioni, occhi grandi e un casco di capelli ribelli. Sempre pronta a fare battute, alterna momenti di gioia e spensieratezza ad altri di umore nero e cinismo “da fare paura”.
La Ila è una sorta di sorella minore che ha accompagnato l’autrice, Ilaria Mozzi, per molti anni, raccontando le varie fasi della sua vita: “Spuntava sui biglietti di auguri e sugli appunti presi durante le lezioni di Storia medievale. Poi ha cominciato a farsi vedere sempre meno per poi sparire”. Fino al lockdown. “Il blocco delle attività imposto dal coronavirus mi ha permesso di spostare lo sguardo da fuori a dentro, sulle cose che amo e che mi fanno stare bene. Un giorno, mentre ero a casa, ho sentito una vocina familiare: mi solleticava e mi faceva ridere perché trasformava la noia e la paura in situazioni buffe. Era la Ila: era tornata”.
E così, costretta a casa durante il lockdown, Mozzi ha ripreso pennarelli e matite e ha ricominciato a disegnare. Ne è nata la simpatica serie dal titolo “La Ila in quarantena”. Ogni giorno, all’ora del caffè, sul profilo Instagram @Ilasimagery.im compare un nuovo episodio. Dal 23 febbraio non ha mai smesso, ma ad agosto, assicura l’autrice, “la manderò in ferie forzate”.
Il fumetto – che nel sottotitolo recita “una vignetta al giorno e il sorriso fa ritorno” – ha solo uno scopo: portare il buon umore nella casa delle persone in un momento difficile come quello della pandemia. Del resto, osserva Mozzi, “ci chiamiamo ‘Ilaria’ mica per nulla: ‘Ilaria’ significa ‘allegra, colei che ride’”. E così, la Ila è nata per ridimensionare le cose: “Per mostrare quanto può essere buffa la vita, per trasmettere la leggerezza del sapersi prendere un po’ in giro”. Ma non solo. “Con le sue espressioni e i suoi commenti spinosi, la Ila fa anche riflettere sulle cose importanti e sul valore delle relazioni, delle passioni e dei piccoli gesti quotidiani”.
L’idea del fumetto è nata in modo spontaneo e settimana dopo settimana si è rivelata una piccola terapia contro i giorni bui dell’emergenza da coronavirus. “Riprendere a disegnare è stata un’esigenza emotiva e fisica potente. Passavo intere giornate con le matite in mano. La Ila è stata una salvezza. Creare vignette che raccontassero le varie fasi di questo periodo, e che aiutassero a sdrammatizzare situazioni emotivamente pesanti, è stato un modo per sfogare ciò che avevo dentro”, racconta l’artista che, per la portata narrativa delle sue creazioni e per la volontà di “tenere compagnia”, preferisce definirsi “illustra-storie”. Perché le storie, dice, “contengono tutto: emozioni, paure, desideri, problemi e soluzioni. E l’arte è un modo per tradurre tutto questo con nuovi linguaggi. In momenti difficili, aiuta perché distrae, intrattiene, arricchisce e nutre lo spirito”.
La materia prima delle storie viene dalla sua famiglia e quelle che racconta sono scene di vita quotidiana, “vere per al 98 per cento”. Il restante due per cento è una “lieve finzione dovuta a esigenze narrative”, spiega l’autrice. Del resto, “i fumetti hanno le loro regole e per funzionare devono rispettare certi ritmi e determinati equilibri”. Ma quello che si legge negli episodi, assicura, “è la mia realtà”. E così ecco comparire qua e là anche altre figure che si intromettono nella vita della Ila e ne determinano umori e sentimenti: Ale, il marito, i genitori, “con le loro manie”, l’insegnante di danza. Caricature ma, in fondo, personaggi in cui è facile riconoscersi, con un misto di tenerezza, acidità e stati d’animo altalenanti, che appartengono alla vita di ciascuno di noi.
“Le vignette sono disegnate rigorosamente a mano, con grafite, china e pastelli colorati”. Poi Mozzi le fotografa e le pubblica su Instagram e su Facebook. Ora il fumetto, nato come “uno sfogo, una risata giornaliera”, potrebbe diventare un libro: “Più di una persona sta tentando di convincermi a farne un progetto editoriale, ma la Ila è uno spirito libero: non so cosa diventerà, la lascio fare”. Intanto, gli appuntamenti con le sue avventure continuano sui social.
E dopo decine di vignette e scatole di matite consumate, Mozzi ora si guarda indietro. “Le emozioni in questi mesi sono state tante: la preoccupazione, l’incertezza, la distanza da mio padre. Nel complesso, il lockdown non mi è pesato troppo: sono una pantofolaia, al contrario di mio marito”, scherza. “Per me è più difficile, adesso, ritrovare una nuova normalità in questa situazione in cui tutto è ancora sospeso, da ricostruire, giorno dopo giorno. Ma so che è dai momenti di crisi che emerge la creatività”. Ed è da qui, dalla lezione che “la Ila” le ha insegnato, che Mozzi prova a ripartire, in attesa di riprendere i laboratori con i bambini, in cui utilizza l’arte per affrontare tematiche come l’affettività e la prevenzione del bullismo nelle scuole elementari e nelle biblioteche. “Bisogna sapere guardare al problema in modo nuovo, trovando soluzioni e mettendole in pratica”. Anche con un po’ di fantasia. Questa è la ricetta della Ila.