Oggi vi sveliamo l’identità del Rapace, lo chef misterioso che durante il lockdown ci ha tenuto compagnia nella cucina di Red, preparando dei manicaretti da ogni parte del mondo.
Il suo nome è Matteo Garlappi, è di Novate Milanese, ha 35 anni e fa l’impiantista. No, non è uno chef di professione, ma la passione per la cucina lo accompagna da molto tempo. Come quella per la tecnologia e la grafica digitale, che gli hanno consentito di realizzare i suoi fantastici video. Il suoi assi nella manica sono la creatività e la voglia di divertirsi.
Chi è il Rapace? Come mai questo alter ego?
“‘Rapace’ è uno dei tanti soprannomi che accompagnano la mia adolescenza, ma a differenza degli altri, questo è durato. È nato come aggettivo calcistico: un rapace nel calcio è colui che approfitta della distrazione o della difficoltà degli avversari per segnare o prendere possesso del pallone.
La maschera, invece, non è altro che un residuo del mio addio al celibato: gli organizzatori non ne trovarono una da rapace e così ripiegarono sul piccione, per questo mi chiamo Rapace ma ho una maschera da piccione”.
Durante il lockdown ha aperto il canale di ricette, “In cucina col Rapace”. Come è nata l’idea? Ci sarà un futuro per il canale anche adesso che ha ripreso a lavorare?
“A dire il vero non ho mai pensato di immergermi nel mondo del web cooking ma mi sono sempre divertito a creare contenuti simpatici per i miei amici: video per sponsorizzare una partita, per inaugurare un evento o semplicemente per divertire amici e parenti.
Durante il lockdown, ho accettato il vostro invito a fare una cosa che già sporadicamente realizzavo ma in un ambito che, nonostante mi appartenga come persona, non avevo mai sfruttato come risorsa per un video. Purtroppo da quando ho ricominciato a lavorare, il tempo libero è troppo poco per la mole di impegno che c’è dietro. Nonostante mi sia divertito moltissimo a pensare e a realizzare ognuno di questi video, ora sarebbe più un compito da svolgere che un piacere. In ogni caso, non ho abbandonato l’idea di organizzare del tempo per avere la possibilità di riprendere la produzione. Inoltre, ho avuto molte sollecitazioni a proseguire, anche da persone che non pensavo che sapessero dell’esistenza del ‘Rapace’. Questo mi ha fatto molto piacere. Se, invece, dovesse considerarsi già esaurita come esperienza, vi ringrazio per avermi dato l’incipit per averla percorsa”.
Com’è nata la passione per la cucina?
“Fin da piccolo, sono stato attirato da questo mondo, soprattutto per il suo lato generoso: trovo che sia il modo più semplice e diretto per prendersi cura di chi ti sta intorno. A parte gli ingredienti, il tempo dedicato e la passione in una preparazione, pur essendo intangibili, producono un bene fruibile. Questo prodotto, quando è assimilabile a un’esperienza passata – come il profumo della torta della nonna, il sapore di un piatto assaggiato in una vacanza, la focaccia che mangiavi da bambino -, genera un’emozione. A volte non è necessario che un piatto sia buono, quando vedi tua moglie, che non cucina quasi mai, che ti prepara un uovo ‘all’occhio di bue’ rotto e ripiegato su se stesso, tu ti senti felice perché sai cosa voleva dire attraverso quel piatto”.
Come ha imparato a cucinare tutte queste pietanze, anche particolari?
“Ho appreso la maggior parte delle poche cose che so nel miglior modo: sbagliando. La pratica rimane la più efficace maestra, anche se per riuscire a raggiungere certi sapori, a un certo punto, è necessario imparare dai libri. Certe accortezze in cucina, ovvie per noi, sono nate per un’intuizione, per genio, ma altre derivano da studi veri e propri, dalla chimica e dalla fisica, oggi sempre più di ieri. La scienza, a questo proposito, ha un ruolo fondamentale in cucina, basti vedere le continue tendenze che si succedono: il sous-vide (sottovuoto), la bassa temperatura, la cucina molecolare”.
Ormai alla tv ci sono tante trasmissioni di cucina, programmi sul food, chef stellati o itineranti, un po’ per tutti i gusti. Cosa ne pensa?
“Premesso che, come nello sport, preferisco sempre fare piuttosto che guardare, ho notato che gli show cooking, da quando hanno fatto la loro comparsa nei palinsesti, hanno gettato una nuova luce sul mondo della cucina, che fino ad allora era un’ombra dietro ai piatti serviti in tavola. C’era molta meno attenzione sulla preparazione. Questo fenomeno ha portato dei cambiamenti sia buoni che cattivi. Se da un lato abbiamo potuto trarre insegnamenti, piccoli segreti e accorgimenti dai vari chef, dall’altro abbiamo sviluppato un’ipercritica verso i piatti che troviamo nei ristoranti o a cena dagli amici. Emergono così ondate di sdegno verso un’amatriciana con la pancetta invece del guanciale, preparata da persone che non sanno neanche quanto deve bollire un uovo per diventare sodo. Guardo volentieri “Masterchef” e i programmi che fanno assistere alla preparazione delle pietanze, programmi che ti permettono di imparare qualcosa. Non gradisco, al contrario, quelli simili a “4 ristoranti”, che, oltre a essere una non velata vetrina per i partecipanti, nel bene e nel male, enfatizzano appunto la critica reciproca ed è difficile trarne insegnamenti”.
I suoi video sono molto belli e curati, si vede che ci sono dietro competenze di montaggio e post-produzione. Ha studiato per conto suo?
“La ‘qualità’ dei miei video è solamente una conseguenza delle mie passioni: fin da piccolo sono sempre stato un tecnofilo e ho passato gran parte della mia gioventù a smanettare su pc e affini. Ne ho rovinati molti e ho imparato ad aggiustarne altrettanti. Non ho appreso nulla dai libri di informatica: è un settore in continua evoluzione. In molti hanno imparato, per esempio, un linguaggio di programmazione, che dopo poco è diventato obsoleto. Credo che la maniera migliore per imparare a usare un pc sia utilizzarlo, o almeno così è stato per me: autodidatta attraverso la pratica. Da lì in poi, con l’avvento della grafica digitale, mi sono avvicinato, in maniera molto amatoriale, ai diversi programmi di fotoritocco e videomontaggio. A questo si aggiunge una buona dose di creatività. Non serve altro: esperienza e voglia di divertire e divertirsi”.
Qual è il suo sogno nel cassetto?
“Non ho mai avuto una visione a lungo termine nella mia vita. Anche per questo, più che un sogno nel cassetto, ho sempre avuto piccoli traguardi da raggiungere: imparare a fare giocoleria, disegnare, scrivere. Molti, forse troppi hobby. Mi piace mettermi in gioco in tutti gli ambiti che possano arricchire o che possano far esprimere la mia creatività. Con gli anni che passano, alcuni di questi sono svaniti, ma ne conservo comunque l’esperienza. Insomma: ‘Impara l’arte e mettila da parte’. L’interesse per la cucina e quello per il computer sono perdurati. Ciò non significa che non abbia mai sognato, soprattutto da bambino, ma i miei sogni erano proiettati sul breve termine: come segnare un bel gol nella partita della domenica, per esempio. Ad ora, mi ‘limito’ a cercare di essere felice e devo dire che mi sta andando abbastanza bene. Anche perché, per esserlo, bisogna volerlo e la mia buona dose di ottimismo aiuta”.
Ha pensato di realizzare altri progetti dopo le video ricette? Quali saranno le nuove avventure del Rapace?
“Ho pensato anche ad altro, ma purtroppo, in questo, forse sono troppo ambizioso. Nel senso che i miei mezzi non mi permettono di sviluppare le idee che mi vengono in mente ogni tanto. Non sto parlando certo di un film o cose simili. Ma anche solo per un piccolo sketch avrei bisogno dell’attrezzatura adeguata. E poi ci vogliono il tempo e le persone giuste. La mia autocritica è forte, sono molto esigente con me stesso. Per cui, se non ottenessi un risultato per me soddisfacente, sarebbe molto frustrante: cosa che è già capitata, durante il lockdown, con un paio di video ricette che poi non ho pubblicato”.
Ci parli un po’ di lei. Chi è e che cosa le piace fare?
“Credo che descriversi sia una delle cose più difficili: chi è insicuro si sminuisce, chi ha troppa fiducia in se stesso tende a esagerare. Io credo di essere oggettivo se dico che sono bellissimo e bravissimo in tutto quello che faccio – scherza Garlappi -. Come probabilmente avrete già capito, adoro cucinare e usare il pc, per creare e per giocare. Mi piace praticare sport, soprattutto quelli agonistici, i giochi di società e molto altro. Insomma mi piace fare nuove esperienze e, soprattutto, esperienze agite: preferisco fare un attività ludico-sportiva il sabato sera piuttosto che la classica bevuta al pub. Ciò non significa che non capiti più spesso di uscire a bere una birra”.
Torniamo alla cucina allora. La ricetta più difficile con cui si è cimentato?
“All’inizio della mia modesta esperienza, mi divertivo a sperimentare gli abbinamenti più particolari, con le tecniche più innovative, solo per stupire. Ma col tempo ho imparato ad apprezzare la semplicità di un piatto anche banale, ma cucinato per essere il più buono possibile. Non che non apprezzi quel tipo di cucina, ma sceglierei cento volte una ‘pasta all’arrabbiata’ fatta bene, piuttosto che ‘spaghetti di zucchine su fonduta di taleggio e spuma di carote con polvere di pistacchi’. Non ricordo una ricetta particolarmente difficile, ma ricordo che ci ho messo tanto a imparare come cuocere una bistecca, perché nonostante sia una delle cose all’apparenza più semplici, ha bisogno di conoscenza. Penso che la stragrande maggioranza delle casalinghe, mia mamma compresa, non conosca la reazione di Maillard, rischiando così di bollire la bistecca invece di cuocerla. Spesso, si incolpa la qualità, ma anche i tagli più economici, se cucinati ad arte, possono essere squisiti”.
Qual è la sua ricetta preferita?
“Credo che questa domanda meriti due risposte: il piatto che preferisco mangiare sono i pizzoccheri e quello che preferisco preparare sono le Bbq ribs. Di cui, per la felicità e il dispiacere di chi fruisce della mia cucina, cambio quasi tutte le volte ricetta, perché mi piace provare nuove preparazioni”.
Se dovesse scegliere una ricetta per descriversi quale sarebbe?
“Credo che quella che più rispecchi il mio modo di essere siano i tortelli, perché non importa quanto ci si provi, non si otterrà mai lo stesso sapore ad ogni preparazione. Anche frequentando lo stesso ristorante in due diverse occasioni, si noterà che i sapori saranno, magari anche di poco, diversi. È una considerazione applicabile ad altri ambiti, non solo in cucina: a volte si è ispirati, altre distratti o stanchi. Oppure, ancora, felici o svogliati. Insomma i piatti che prepariamo non sono solo frutto della qualità degli ingredienti e della tecnica appresa ma anche, in buona parte, delle nostre emozioni”.