I confini sono aperti. Partono aerei, treni e navi. Ma la sensazione di non essere del tutto liberi – liberi di muoversi senza dover prenotare, liberi da preoccupazioni e distanziamenti, liberi di correre incontro alla tanto attesa stagione della leggerezza – ci accompagnerà anche nei mesi del dopo isolamento. Sarà un’estate a passo ridotto. La metà degli italiani rinuncerà alle vacanze, una buona fetta lo farà per motivi economici.
Anche per noi di Orange, questa sarà un’estate all’insegna della “prigionia”. Nessuna fuga da Milano: dalla nostra Litchfield continuiamo a raccontare la città che si reinventa dopo l’emergenza del coronavirus. Ci concederemo però delle piccole evasioni. Scopriremo così, insieme a voi, la bellezza del turismo di prossimità. Un turismo più lento, consapevole e sicuro. E soprattutto “open air”, all’aria aperta. Andremo a conoscere, o a riscoprire, luoghi più o meno noti della Lombardia e li racconteremo. Sarà un’occasione unica per vedere, con nuovi occhi, città d’arte e posti da cartolina, per la prima volta senza orde di turisti e stranieri. In un’esperienza che ricorda le villeggiature dell’Ottocento. Consapevoli che, anche questa estate, a suo modo inedita, passerà alla storia.
Iniziamo da Menaggio, Menas in dialetto comasco. Appena tremila abitanti sulla sponda occidentale del lago di Como, che diventano molti di più da giugno a settembre quando tedeschi, svizzeri e americani riaprono le seconde case e gli alberghi di lusso registrano, senza troppa fatica, il tutto esaurito. Meta di lussuose ferie e antica arte del campare dei residenti – l’ottanta per cento degli abitanti vive di turismo -, Menaggio oggi più che a una prosperosa meta di villeggiatura per ricchi assomiglia a una città fantasma in balia dei residenti.
Le persiane chiuse disegnano ombre regolari sulle facciate del Grand Hotel o del Victoria. I tappeti rossi sono ancora arrotolati negli scantinati degli alberghi insieme alle divise dei facchini e ai carrelli color oro. Niente valigie fuori dal portone, nessuna signora con occhiali da sole griffati è seduta ai tavolini a bordo strada, pronta, con la stessa naturalezza, a sorseggiare il caffè o a impartire le buone maniere al nipote. Immobili e vuoti nella loro maestosità, gli alberghi fanno da contorno a un muto paesaggio che ricorda le pennellate di un dipinto di Edward Hopper ai tempi del distanziamento sociale e dell’isolamento. Il silenzio ha invaso l’asfalto rovente di giugno dove già dalla primavera, in tempi normali, sfrecciano le cabriolet degli amanti in fuga. Ma questo è un tempo sospeso.
Oggi è il vento a prendersi la scena. Sul lungolago si spiegano le bandiere dell’Italia in uno spettacolo di volteggi e giravolte senza spettatori. La piazza è un grande vuoto tagliato qua e là da qualche abitante: nonni con il gelato in mano e la maglietta a righe, bambini sui tricicli, coppie di inediti turisti dei paesini a fianco. Non si contano più di trenta, quaranta anime in giro. A largo Cavour, l’esposizione di Menaggio nelle foto d’epoca non sembra poi così lontana dai giorni nostri. Sorride un’elegante signora con l’ombrello in pizzo sull’inglesina, la tipica imbarcazione a remi, importata all’inizio dell’Ottocento da villeggianti britannici per momenti di svago e riposo sulle acque lariane. Di stranieri oggi, però, neanche l’ombra. Sono loro, tedeschi, svizzeri e americani, stregati dal lusso e dalla placida quiete di questi luoghi, a portare lavoro e ricchezza da queste parti. E intorno a loro, a questo turismo, si è creata l’offerta oggi rimasta inevasa.
I negozi di souvenir espongono calamite e cartoline con battelli, campanili e fiori in ogni angolo. Le guide turistiche in tutte le lingue sono ancora nel cellophane. In edicola, due casse piene di giornali invenduti sono pronte per essere restituite.
Sfilano i ciclisti, impavidi padroni della strada, tutta curve e salite, che costeggia il lago. Nelle trattorie si trovano solo gruppi di muratori che a mezzogiorno e mezza sono già al caffè corretto con grappa. I menu turistici sono scomparsi insieme ai camerieri in divisa e alle tovaglie bianche. Sulla lavagna compaiono pizzoccheri, polenta uncia, salumi. Sono cambiati i clienti e ora si punta sulle specialità locali, che fanno gola anche ai residenti.
Si trova parcheggio dappertutto e scattare una foto panoramica al lago diventa quasi una banalità. La giornata di vento e sole è perfetta per un’uscita in barca, ma al molo sono tutte ferme, senza nessuna intenzione di lasciare gli ormeggi. Il piccolo porticciolo di fronte alla piazza diventa così il lido delle anatre, spiaggiate sulla banchina a prendere il sole in un silenzio irreale.
Più su, lungo la via che porta all’antico Castello di Menaggio, o meglio, alle mura che ne restano, s’incontra solo un gruppo di bambini che si chiama su WhatsApp e corre a nascondersi dietro ai cartelli delle case in affitto per l’estate. Un signore è intento a strappare le erbacce dal giardino della sua villetta vista lago. Da diversi mesi, non c’è più tanta gente a cui dare indicazioni, a gesti o in un inglese essenziale.
La storica via Calvi è deserta. “Le entrate sono l’uno per cento di quelle che abbiamo di solito”, racconta il proprietario di un’enoteca che si affaccia sulla strada. Si scusa per le patatine in busta che ci serve insieme a due birre artigianali. “Di solito offriamo taglieri di salumi della Valtellina, quelli buoni, ma ora sono rimasto solo io a lavorare qui”: dopo il lockdown, tra spese e nuove regole, ha dovuto ripensare all’organizzazione e alle spese e semplificare il servizio.
Ci godiamo la vista. Nel paesaggio da cartolina però manca qualcosa. Le fioriere sul lungolago sono rimaste vuote. Dove sono finite le distese di azalee rosa e di gerani rossi che spuntano dall’acqua quando ci si mette in posa per una foto davanti al lago? Torneranno, forse, insieme ai turisti.
Intanto, poco prima del tramonto, arrivano i pescatori. Scendendo lungo la statale Regina, sono loro il nuovo paesaggio da cartolina. Ci sono sempre stati? Forse. Coperti dalla sfilza di auto parcheggiate a bordo strada e dai turisti, restavano nell’ombra. Oggi, con le lunghe canne appoggiate alla ringhiera e i secchi pieni di vermi a fianco, emergono in tutta la loro poesia. Il lago è, di nuovo, solo di chi aspetta: i pescatori, l’immagine di un paese intero.