Oggi, 20 giugno, è la giornata mondiale del Rifugiato. Un’ottima occasione per raccontarvi del murale “Human – sulle Or.Me. dei migranti” degli Orticanoodles. Un’opera sulla parete della galleria di via San Faustino a Milano, dipinta molto tempo prima delle proteste anti razziste di questo periodo, scoppiate dopo l’omicidio di George Floyd da parte di un poliziotto, negli Stati Uniti. Un dipinto che ci ricorda il nostro passato perché, gli italiani sono “un popolo di santi, navigatori, poeti e anche emigrati”. Ma che racconta anche la storia di tutti quelli che, in questi anni, scappando dalla fame o dalla guerra, sono arrivati nel nostro Paese. Un murale dedicato “a chi è emigrato, a chi migra, a chi migrerà”. Fa parte delle 20 opere del progetto Or.Me. – Ortica Memoria, patrocinato dal Comune di Milano, che intende trasformare il quartiere Ortica in un museo a cielo aperto. Un’iniziativa di arte partecipata dedicata al Novecento e che, oltre agli Orticanoodles, coinvolge associazioni, studenti e residenti.
Quest’opera mostra come la storia del nostro popolo sia molto simile a quella di chi accogliamo nei nostri quartieri e che viene da lontano. Nel mondo siamo circa 140 milioni di italiani. Perché ai 60 milioni che vivono in Italia, si stima che ce ne siano tra i 60 e gli 80 milioni che vivono all’estero. Figli e discendenti di italiani che per diritto di sangue (ius sanguinis) sono anche loro italiani.
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane”, così descriveva gli italiani una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione al Congresso Americano nel 1912. “Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti”, continua per poi entrare nel vivo. “Dediti al furto”, violenti, stupratori. Descrivono gli italiani come persone che vivono di espedienti o attività criminali. I veneti e i lombardi sono definiti come “tardi di comprendonio e ignoranti” ma disposti più di altri a lavorare. Su quelli del Sud, “si riferisce gran parte di questa relazione”. E dopo queste parole per descrivere il popolo di immigrati italiani, la conclusione: “Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.
Quest’opera ricorda proprio loro, gli italiani che sono emigrati oltreoceano. “Fra il 1880 e il 1915 approdano negli Stati Uniti quattro milioni di italiani”, si legge su una porzione dell’opera che li raffigura.
E il tema dell’immigrazione non è casuale sui muri di questo quartiere. All’Ortica, negli anni Cinquanta, scrive l’associazione Ortica Memoria, “arrivarono ferrovieri da ogni parte d’Italia per risiedervi. Si racconta che proprio in quegli anni, quando ancora le vie del quartiere non avevano un nome, il proprio indirizzo era quello del soprannome che veniva dato alla propria casa. E la casa dove abitavano i meridionali veniva chiamata la ‘kasbah’, in maniera dispregiativa, come per indicare che quelli non erano italiani, quelli venivano non dal Sud, ma dall’Africa”. E quest’opera racconta anche la loro storia. Ma non solo.
Parla anche di “quella di chi arriva adesso in Ortica, appunto da quell’Africa che già negli anni che furono faceva tanta paura”. Di quelli che arrivano nel quartiere “e vanno a risiedere al di là del ponte pedonale, in quel luogo che per tanto tempo è stato un luogo oscuro della coscienza dei milanesi, il caseggiato di via Corelli”. E così “racconta le traversate in mare pigiati l’uno contro l’altro, senza spazio, in bilico tra speranza e terrore. Ci narra che le migrazioni sono un fenomeno umano, naturale e che sono le frontiere ad essere innaturali. Ci spiega che magari esternamente il colore cambia ma che il colore del nostro sangue è uguale in Italia come in Nigeria o in Cina”. E che siamo tutti umani.