Questa mattina la sveglia è suonata presto. “Che ore sono?”, chiedo. “Le otto passate”. Mi alzo rassegnata. E poi scopro che non è così. Elisabetta è elettrica, deve comprare un sacco di cose. Scrive liste, accende il computer, fa ricerche. Normalmente non scende dal letto così facilmente. Ma quella letargica in lockdown sono io e così, visto il lungo elenco di cose da fare, mi ha svegliata presto, mentendo sull’orario. Ma questo lo scoprirò solo dopo essermi alzata.
Da oggi il lockdown è finito. Più o meno. Si può girare senza autocertificazioni, basta mettersi la mascherina (che qui il Lombardia è obbligatoria ogni volta che si esce di casa). I negozi sono riaperti. Quasi tutti. Il traffico sotto casa è tornato ai livelli pre-coronavirus.
Usciamo: prima meta il supermercato. Mi preparo psicologicamente a fare la coda. Intanto arranco sotto il sole, perché ormai dopo cinque passi ho il fiatone. Mi riprometto sempre di tornare a fare attività sportiva, ma so che il mio proposito si schianterà contro il divano mentre mi racconterò che la camminata di oggi è stata più che sufficiente.
Intanto decidiamo di entrare entrambe al supermercato per velocizzare questa fase. Elaboriamo un piano: “Facciamo finta di non conoscerci, ti metti in coda dietro di me. Poi, una volta dentro, escludiamo dalla spesa due o tre cose e le pago io in un’altra cassa, così non vedono che usciamo insieme”. Arrivate al supermercato non c’è coda e dentro c’è poca gente. Nessuno sembra curarsi del fatto che siamo arrivate insieme e che è evidente che, anche entrando separatamente, siamo lì insieme. Del resto, come buona parte della gente che sta facendo la spesa. Ma decidiamo di attenerci al piano. Così separiamo dalla spesa due o tre cose e ci mettiamo in casse separate. Usciamo poi insieme dalla porta, come del resto quasi tutti. E anche qui, non sembra interessare a nessuno. E così, convinte che la nostra operazione segretissima sia funzionata, torniamo verso casa.
Sistemiamo la spesa e poi usciamo di nuovo per comprare i surgelati. Come? Perché non li abbiamo presi al supermercato? Non lo so, ma Elisabetta ha detto che al supermercato non c’era quello che ci serviva e guai a contraddirla (e se la fate arrabbiare è meglio per voi che non le diciate che è permalosa). Attraversiamo il parco per andare al negozio. “Abbiamo cinque minuti per prendere un caffè d’asporto e berlo su una panchina nel parco?”, le chiedo. In questi mesi avremmo voluto tante volte andare al parco, respirare il profumo dei fiori, sederci con un libro nell’erba senza pensare a niente. Ogni volta che siamo uscite a comprare qualcosa abbiamo fatto in modo di passare in mezzo ai giardini, solo per guardare gli alberi che, poco per volta, da scheletri spogli si riempivano di foglie e incorniciavano il cielo di verde.
“Va bene, ce li prendiamo questi cinque minuti”, sorride Elisabetta, che è entusiasta. Scegliamo con cura una panchina al sole, senza gente intorno, dove poter abbassare la mascherina e bere in pace il nostro caffè. Mi bagno le labbra e mi rendo conto che non ricordavo neanche più di cosa sapesse un espresso. Ne abbiamo bevuti pochi dal nostro ritorno dal Messico, poi è scattato il lockdown. Cinque minuti di impagabile libertà in mezzo al verde. Maggio è sempre stato il mio mese preferito. Le giornate sono lunghissime, fa caldo, ma non troppo, si sente ancora il profumo della primavera e si può udire il suono delle nocche dell’estate che bussano alla porta.
Una piccola ma significativa parentesi tra una commissione e l’altra. Ho riassaporato la libertà per un attimo. Ma torno alla realtà quando rimetto la mascherina. Mi rendo conto che non è ancora finita, che siamo ancora a Litchfield, anche se con la libera uscita. Quando tornerà tutto come prima? Non lo so, ma so che se non vogliamo essere chiusi dentro a tempo pieno e che la città non si paralizzi di nuovo, dobbiamo stare attenti.
In Lombardia abbiamo centinaia di contagi al giorno e rappresentano quasi la metà dei nuovi casi a livello nazionale. Vi do solo qualche numero, tenete conto che di giorno in giorno oscillano, salendo e scendendo, e che non sempre vengono fatti lo stesso numero di tamponi.
Dei 451 nuovi casi di coronavirus rilevati oggi in Italia, 175 sono in Lombardia. I dati, seppur preoccupanti, sembrano meglio di ieri, quando su un totale di 675 tamponi positivi, 326 erano in Lombardia. Ma va tenuto a mente, ripeto, il numero di tamponi fatti. Oggi in Lombardia sono stati 5mila, mentre ieri 12mila (anche a livello nazionale oggi sono stati fatti poco più della metà dei test del giorno precedente).
Quindi non è finita. Siamo la regione più colpita. E Milano è la provincia lombarda con il numero più alto di nuovi casi (ben 71 sui 175 di tutta la Lombardia).
Non vi parlerò dei morti, che purtroppo continuano a esserci. Il mio intento non è farvi deprimere o farvi perdere in mezzo a numeri, che ci vengono annunciati ogni giorno e che hanno forse poco senso. Perché, ripeto ancora, oscillano a seconda di quanti tamponi vengono fatti. Ma questo è a sua volta un dato interessante. Come hanno detto tanti esperti in questi mesi, i numeri sono molto più alti di così. Ed è per questo che ve ne parlo, perché dobbiamo ricordarcelo e comportarci di conseguenza.
Con la Fase Due stiamo tutti riassaporando momenti di libertà. Anche se, a ricordarci che non è tornata la normalità e che siamo ancora nella prigione del coronavirus, ci sono tante cose. Non è il lockdown che ci hanno imposto a metterci in prigione, ma questo virus. Il fatto che non possiamo uscire senza mascherina senza rischiare di ammalarci o far ammalare qualcuno. Il fatto che nei negozi si entri uno per volta. Che sull’autobus non ci si può sedere su tutti i sedili. Che al ristorante i tavoli devono essere disposti a distanza di sicurezza. Che la gente quando fa le code sta a un metro di distanza, in una fila ordinata e non accalcata e informe come un gregge di pecore. Questo ci ricorda che non siamo tornati alla normalità, c’è ancora un invasore silenzioso che ci minaccia.
Ma, con l’allentamento delle misure anticontagio e la primavera, ci siamo risvegliati dal letargo e ci sembra insopportabile stare chiusi in casa. Sono mesi che non vediamo gli amici, abbiamo tutti voglia di riabbracciarli. Ma non è ancora il momento. Arriverà anche quello.
Per ora dobbiamo stare attenti. Possiamo andare a trovarli, ma cerchiamo di stare a distanza. Perché tra una risata e l’altra, davanti a una birra, senza mascherina, possiamo contagiarci a vicenda senza saperlo. Non è un invito a stare a casa e a non vedersi. Riassaporate l’aria esterna, fate una passeggiata con i vostri amici. Magari però non tutti insieme. E manteniamo le distanze di sicurezza, teniamo le mascherine su naso e bocca e non appese al collo o sull’orecchio. Ancora per un po’. Poi torneranno gli abbracci, le birre alle colonne di San Lorenzo, i concerti, i cortei. Ci sarà tempo di fare una grigliata con venti amici e tanto altro. Ma, per arrivarci il prima possibile, dobbiamo fare tutti la nostra parte e rompere la catena, anche inconsapevole, del contagio.