Primo giorno della Fase Due. La nostra giornata è iniziata presto. Prima dell’alba. Alle 5.40 eravamo già sulla 90, o forse sulla 91 (che poi, per noi milanesi, è la 90 e basta). Pallini a terra su dove mettere i piedi, sedili con i cartelli “non sederti qui” e poca gente. Ma comunque il numero di persone è sufficiente per incontrare un matto. Del resto, se non ci fosse non sarebbe la 90.
Arriviamo in Stazione Centrale. Senza i pullman che vanno a Orio e le lunghe file di gente con le valige, Piazza Luigi di Savoia è completamente vuota. Non ci sono neanche più i senzatetto, che spesso dormono sui gradini del perimetro della stazione. Insomma, il deserto.
Per vedere qualcuno in movimento, bisogna avvicinarsi alla fermata dei taxi. Le vetture arrivano alla spicciolata. Scendono persone con trolley e valige dirette in stazione. Nessuno corre, c’è tempo. Il primo Frecciarossa per Napoli è alle 7.10.
Saliamo le scale fino al salone davanti ai varchi per i binari. Lì, veniamo accolte dalla polizia, che si avvicina alla gente: “Regionale o Freccia? Ha l’autocertificazione? Va bene, da questa parte”. Dispone i passeggeri in file, a distanza l’uno dall’altro, come da direttive.
Tra questi, c’è chi porta il cane in braccio, chi ha tre valige, chi solo una borsa da palestra. C’è persino un ragazzo che trasporta una tavola da surf. “Questa era rimasta qua con me, ora spero di poter cavalcare qualche onda a Ostia”, ci racconta Pietro Iavicoli, 26 anni. Torna a Roma dalla sua famiglia.
Il tempo di finire la conversazione e arriva un altro ragazzo di corsa. “Scusa mi presti la penna? Solo due minuti”. Si appoggia alla parete e compila l’autocertificazione. Non facciamo in tempo a fargli una domanda che scappa verso il check point della polizia. Gli agenti controllano i documenti, le autocertificazioni e lasciano passare i viaggiatori uno alla volta.
Nessun esodo, nessuna ressa. Code ordinate, tutti rispettano i divieti e tutti hanno le facce coperte da mascherine o sciarpe. Vanno a Napoli, Roma, Firenze, Perugia. Ma anche Lecce, Reggio Calabria, Venezia. Chi con il Frecciarossa, chi con i regionali. Ci sono studenti, lavoratori, giovani e persone di mezza età. Ma a chiunque abbiamo chiesto la destinazione, ci ha semplicemente risposto: “Torno a casa”. Qualcuno con il sorriso, qualcuno con la rassegnazione di chi era arrivato a Milano con un sogno e, per colpa del Coronavirus, si è trovato senza lavoro e non ha avuto altra scelta che tornare dalle famiglie in attesa di tempi migliori.
Quando il Frecciarossa parte il salone si svuota. Il silenzio irreale rende ancora più evidente che questo luogo, normalmente più caotico di un suk, è deserto e con tutte le saracinesche abbassate. Restano la polizia, l’esercito e il personale di Trenitalia. E qualche giornalista. Guardiamo tutti insieme il treno che parte, in silenzio e smettendo di fare quello che stavamo facendo (salvo riprendere il convoglio che lascia la stazione).
Poi il conteggio dei documenti riparte e la polizia ci fa sapere che sul treno c’erano 192 persone, il massimo della capienza. Certo, i Frecciarossa possono portare quasi 600 persone in tempi normali Ma, per le regole del distanziamento sociale, possono essere venduti solo meno della metà dei posti.
Ce ne andiamo, ripercorrendo la strada dell’andata. C’è ancora poca gente in giro. Ma è presto. Quando arriviamo a casa, il panorama cambia. Con il passare delle ore sono sempre di più le voci dalla strada e la gente in giro o ferma a chiacchierare davanti al portone, senza rispettare troppo le distanze. E, per la prima volta dopo mesi, torna il rumore del traffico. Ci sono file ai semafori. E, con questa giornata calda di primavera, ricompaiono le moto: visione rara durante il lockdown. Su alcune, ci sono due persone. Passa perfino una Ferrari. E non possiamo fare a meno di chiederci dove stanno andando tutti questi veicoli. E se sarà così tutti i giorni o se, come primo giorno della Fase Due, la gente ha voluto concedersi “l’ora d’aria”, a piedi o in macchina. Ma non è certo questo il problema. Quello che più ci spaventa è il fatto che si ricomincino a vedere compagnie di adolescenti seduti sulle panchine o drappelli di anziani che parlano di calcio fermi sul marciapiedi (abbiamo così scoperto che esiste una squadra della Corea del Nord che negli anni Sessanta ha sconfitto l’Italia). O persone che passeggiano in gruppo chiacchierando animatamente. Tutte situazioni in cui si sono dimenticati ogni tipo di prescrizione: la distanza e in alcuni casi, persino le mascherine, che portano attaccate a un orecchio o sotto il mento.
Perché, come ci hanno fatto capire in tutti i modi, questo non è un “liberi tutti”, non è il momento di abbassare la guardia. Quindi è importante, ogni volta che si esce, mantenere le distanze di sicurezza e rispettare le regole. Perché non possiamo permetterci il rischio di fare un passo indietro proprio ora.
Un richiamo al senso di responsabilità arriva anche da Ghali, in questo video di Yesmilano: