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“Como, la mia città che scrisse la storia della Liberazione, ma ora le volta le spalle”

Sono nata a Como, nella città che vide gli ultimi fascisti in fuga e i partigiani della 52esima Brigata Garibaldi liberare l’Italia dal Duce. A piazzale Loreto, a Milano, si fece la storia, ma è sul lago di Como che si pose fine al fascismo. È qui, a Giulino di Mezzegra, frazione di Tremezzina, che il 28 aprile 1945 Benito Mussolini, nascosto in un camion e in un goffo tentativo di travestirsi da soldato tedesco con un cappotto militare troppo largo, fu catturato mentre cercava di scappare in Svizzera insieme a Claretta Petacci. Una pagina di storia italiana ricordata in un paio di righe sui libri di scuola e derubricata a storia locale a Como dove, a tenere viva la memoria, è l’associazione dei partigiani e qualche sigla della sinistra, che in città sono storicamente un’esigua minoranza.

Una pagina di storia che i comaschi hanno preferito, da sempre, mettere in secondo piano, se non dimenticare, preferendo esportare in Italia e nel mondo l’immagine borghese di una città da cartolina, non toccata dai fatti nudi e crudi della storia. Celebrarla per gli splendidi paesaggi, la bellezza delle sue ville (da quella di Gianni Versace a quella di George Clooney), i suoi matrimoni da favola che attirano, ogni anno, introiti milionari, le sfilate di Dolce e Gabbana e il mercato del lusso. E oscurare la narrazione storica della Liberazione, senza la quale tutto questo, forse, non sarebbe stato possibile.

Monumento alla resistenza europea a Como

A distanza di 75 anni a Como ci sono, per i turisti che vogliono andare a cercarli, monumenti e targhe a ricordarlo. C’è la presenza sempre viva dell’Anpi, dei figli dei partigiani e di qualche esponente della società civile. Ma la memoria dei nipoti di quell’epoca sembra sbiadita e l’orecchio delle istituzioni sordo a ogni richiamo.

Sono nata nella città che ha fatto la storia, ma i suoi abitanti le hanno voltato le spalle. Sono nata nella città in cui l’Anpi propone di dedicare una via o una piazza a Michele Moretti, il partigiano che riconobbe, catturò e, con ogni probabilità, uccise Benito Mussolini. E la proposta è caduta nel dimenticatoio. In un’indifferenza che non fa neanche notizia.

Sono nata nella città che ogni 28 aprile si tinge di nero e attira gruppi di neofascisti e dell’ultradestra da tutta Italia che, con saluti romani e una messa in suffragio del Duce, commemora le vittime delle esecuzioni partigiane, senza che le istituzioni e i cittadini si scandalizzino o facciano qualcosa per evitarlo. E dove il principale quotidiano locale pubblica, ad ogni anniversario, il necrologio firmato da uno o più camerati in memoria di Benito Mussolini e di tutti i caduti della Repubblica Sociale Italiana. Nel nome de “I morti per i vivi, i vivi per i morti”. Anche qui, ancora una volta, senza battere ciglio.

Con un anno d’anticipo, in vista del 75esimo anniversario della Liberazione, l’Anpi aveva proposto di intitolare una via o una piazza di Como a Michele Moretti, “un italiano eccezionale”, per ricordare “l’umile figura dell’uomo che ha messo fine alla dittatura e poi è tornato a fare l’operaio, conducendo una vita modesta e senza pretendere mai nulla”. Sarebbe stata la prima via in Italia dedicata a lui. Ne esiste solo una, a Rimini, intitolata a un Michele Moretti, ma si tratta di un caso di omonimia con un bibliotecario del Seicento. La proposta, pero, è stata di fatto ignorata dal sindaco e dalla giunta di centrodestra.

Moretti, il giustiziere di Mussolini, conosciuto dai compagni della Resistenza come Pietro Gatti, fu anche una leggenda del calcio. Terzino e poi ala nella Comense tra il 1927 e il 1935, protagonista di una stagione d’oro in serie C dove la squadra non perse neanche una partita, con ben 90 gol segnati. Ma nessuno, ancora oggi, vuole ricordarlo. E quando, nel 1993, il partigiano, poco prima di morire, fu premiato con l’Abbondino d’oro – massima onorificenza del Comune di Como conferita a persone meritevoli del territorio – scoppiò una vergognosa polemica politica.

Qualche anno fa su YouTube è apparso un documentario ben fatto che raccoglie le immagini dell’epoca e le testimonianze dei partigiani. Si intitola “Lake Como 1945 – End of the war” e racconta la fine della dittatura. Dalle parole dell’ex ministro Mario Martinelli, che racconta della telefonata in cui apprese della presenza di Mussolini in Prefettura, fino all’arrivo degli Alleati. Poi le immagini della prima estate del dopoguerra con gli americani che distribuiscono cioccolato e sigarette. Ma anche le riprese un po’ traballanti dei camion dei fascisti che lasciano Como, diretti alla zona del lago stabilita dagli accordi di resa per deporre le armi. E l’arrivo in piazza Cavour della prima autoblinda partigiana con il tricolore. Il simbolo della Como (e dell’Italia) liberata. Con le immagini dei cittadini che scendono in piazza con le coccarde e le bandiere d’Italia. Su YouTube questo prezioso documento ha ottenuto solo settecento visualizzazioni. Significa che neanche un comasco su cento lo ha guardato.

Corrado Lamberti – Foto © Gin Angri

In questi giorni, che il coronavirus si è portato via anche Corrado Lamberti – uno dei figli dei partigiani della 52esima Brigata Garibaldi che fermò la colonna tedesca in fuga con i gerarchi e Mussolini – faccio un appello ai miei concittadini. In questo 25 aprile chiusi in casa a causa del lockdown, guardiamolo. E riscattiamo la memoria di chi ha combattuto per regalarci la libertà. Perché la bellezza di un luogo, di un territorio, è nella sua storia e nelle genti che la vogliono ricordare.

Elisabetta Invernizzi

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