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“La scuola è come Ulisse: non si arrende mai”. Le strategie “pop” dei professori ai tempi del coronavirus

L’anno scolastico è agli sgoccioli e nelle scuole si è ormai convinti e rassegnati a concluderlo attraverso lo schermo di un computer. O di un cellulare, per i tanti che non hanno altro mezzo digitale per seguire le lezioni.

© Silvia Lisanti

La maturità non ha ancora assunto una forma certa. Pazienza, non è questo a preoccupare le scuole. Il ministero ha già rassicurato gli istituti con un piano A e un piano B, in caso di ritorno o meno tra i banchi il 18 maggio. Niente maturità tradizionale con prove da Roma. Se a maggio si torna a scuola, si faranno i due scritti, ma solo il tema arriverà dalle buste del ministero. In caso si continui a fare lezione a distanza, si farà solo un esame orale. E, in ogni caso, la commissione sarà interna, ad eccezione del presidente.

Perché, non prendiamoci in giro, questa situazione non rende possibile lo svolgimento di una maturità tradizionale. La vita di tutti è cambiata dall’oggi al domani e così anche la scuola. Una situazione d’emergenza per cui non era stato stabilito nessun piano da attuare. Ma la scuola è come Ulisse, non si arrende mai e partorisce sempre nuove idee. Anche con i mezzi, quasi mai sufficienti, che le vengono destinati dallo Stato.

Ma questo quadrimestre passato a casa, facendo lezione attraverso lo schermo del pc, che cosa ha insegnato alla scuola?

Difficoltà tecniche

Ancora presto per un bilancio finale e complessivo. Il parere dei professori, dopo le iniziali difficoltà, non è totalmente negativo. Certo, alcuni ricordano che il loro punto d’osservazione è privilegiato. Come può esserlo un liceo del centro milanese, dove la maggior parte degli studenti hanno gli strumenti per poter seguire le lezioni a distanza. “Ma ci sono scuole in cui non è così. Per questo, ad oggi, la didattica online non è inclusiva”, ammette Elena D’Incerti, docente di lettere del liceo classico Beccaria di Milano.

Le scuole però non demordono. Mai. Alcune sono riuscite a fornire qualche tablet o pc ai ragazzi. E dove non bastano per tutti, ci sono altri sistemi. “Abbiamo scelto di usare piattaforme che funzionano anche da cellulare, così anche chi non ha il computer può seguire. E poi ci sono le chat di WhatsApp e Telegram per le comunicazioni più immediate. O le email nelle situazioni di maggiore difficoltà, che sono comunque una percentuale molto bassa”, spiega Annamaria Borando, preside dell’istituto tecnico e professionale Galilei-Luxemburg di Milano.

Nella sede di Quarto Oggiaro dell’istituto professionale Frisi, nella periferia nord di Milano, “ci sono classi in cui nessuno ha un computer, gli studenti si collegano dai cellulari. Poi ci sono situazioni in cui magari manca la connessione a internet. O dallo stesso computer devono collegarsi sia i due genitori in smart working che il nostro studente e suo fratello per seguire le lezioni”, racconta Elena Scomazzoni, insegnante di tedesco. “Alcune famiglie probabilmente stanno vivendo problemi più seri in questa situazione, per cui la connessione non è certo la priorità”.

Nuovi metodi

Ma non basta avere un dispositivo e una connessione per fare lezione. Il mondo della scuola ha dovuto reinventarsi. Rivedere tutte le certezze che ha sempre avuto. A partire dall’orario di lezione. “Non è pensabile seguire sei ore di lezione di fila davanti a uno schermo”, dice Ivan Cervesato, professore di matematica del liceo scientifico Einstein di Milano. E poi “La vita è diversa ora, la scuola deve adattarsi alla situazione”, aggiunge Borando, preside del Galilei-Luxemburg. “Alcuni professori, ad esempio, sono genitori e magari devono badare ai figli piccoli che sono a casa da scuola durante la mattinata. O gli studenti devono utilizzare lo stesso computer del fratello, che magari ha anche lui lezione”.

Quindi non si ragiona più con gli orari tradizionali. Ci si dà degli obiettivi, si rivedono i programmi, si cambia modo di fare lezione. “Si possono assegnare degli approfondimenti o sperimentare altre metodologie didattiche come la classe capovolta, ad esempio”, dice D’Incerti del Beccaria. Come funziona? “Spiego i punti chiave per capire Foscolo, leggo un paio di brani con loro e poi i ragazzi studiano e presentano alla classe un altro testo dell’autore”. Un metodo in cui sono gli studenti a dover metterci del loro. Quello che è certo è che “la lezione frontale non può funzionare”.

E poi si può prendere spunto dall’attualità, che in questo momento offre un assist prezioso per raccontare meglio alcuni avvenimenti storici. “Ho fatto un parallelo tra Boris Johnson e Pericle. Con il premier britannico in ospedale, per i ragazzi è più facile capire quanto è disorientante per un popolo vedere il proprio leader ammalarsi”, racconta D’Incerti.

Intanto Cervesato del liceo scientifico Einstein, ha comprato una lavagna e ha aperto un canale su Youtube. Con un pennarello disegna gli assi cartesiani mentre legge il testo di un problema. A poco a poco, spiegando ogni passaggio, riempie il pannello bianco di simboli e calcoli.

Ivan Cervesato, docente di matematica al liceo scientifico Einstein di Milano

“Così spiego i vari argomenti e ognuno può rivedere i passaggi se non ha capito qualcosa”. Poi c’è il momento di confronto nelle “classi virtuali”, con la correzione dei compiti svolti dai ragazzi.

In ogni caso, i programmi vanno rivisti, ripensati, sintetizzati. “Ci sarà un impoverimento? Certo”. Ma all’impoverimento dei contenuti, “potrebbe esserci un arricchimento di metodo”, aggiunge D’Incerti, del liceo classico Beccaria.

Anche se non tutti rispondono allo stesso modo. “Ho notato tre gruppi: quelli bravi, che hanno anche voglia di imparare nuovi metodi e diventano ancora più bravi. Quelli più in difficoltà, che già non avevano metodo. Poi ci sono quelli che stanno nel mezzo: non disimparano, ma non imparano neanche troppo. Seguono il filo del discorso educativo e non si perdono ed è già una buona cosa in mezzo a questa situazione d’emergenza”.

E poi, inutile negarlo, tante cose online non si possono fare e verranno recuperate negli anni successivi. Si pensi alle ore di laboratorio nei tecnici e i professionali. Anche se qualche indirizzo è riuscito a ideare esercizi che potessero essere svolti da casa. All’Itsos Albe Steiner di Milano –  l’istituto tecnico sperimentale unico in Italia in cui si studia cinema, televisione, fotografia e grafica – le ore pratiche di linguaggio del cinema e della televisione si sono trasformate nel progetto Coronaca: ogni studente deve preparare un video a settimana che racconti la vita degli adolescenti ai tempi del Coronavirus. Al Galilei-Luxemburg, con l’aiuto di qualche strumento open source, i ragazzi di grafica riescono a lavorare, “anche se non è come a scuola, che ha strumenti più avanzati”. Gli studenti di manutenzione e meccanica, invece, sono più in difficoltà. Anche se c’è qualche simulatore, “come quello di saldatura”.

Uno dei video del progetto “Coronaca” dell’Itsos Albe Steiner di Milano

Mentre all’alberghiero, ci si rassegna a fare solo la parte teorica. Anche se poi, almeno gli studenti dell’indirizzo di cucina, passano il tempo ai fornelli a casa. Quando torneranno a scuola dovranno recuperare la parte laboratoriale. “Per fortuna la quinta non prevede la parte pratica”, spiega Scomazzoni. Stessa storia al Galilei-Luxemburg, dove assicura Borando, “i ragazzi dell’ultimo anno hanno già fatto tante ore di alternanza e sono già preparati da quel punto di vista”.

Compiti in classe e interrogazioni nella scuola digitale

La parte su cui i docenti sono più perplessi è la valutazione. Non si possono usare i metodi e i criteri di prima. E quindi come si fa?

“Abbiamo deciso delle linee da seguire. Non mettiamo voti numerici in questa fase, ma giudizi che tengono conto della presenza, della partecipazione e della puntualità nel consegnare i compiti”, spiega la preside Borando del Galilei-Luxemburg.

Alcune scuole stanno ancora decidendo come uniformare le modalità di valutazione e cercano di capire se arriveranno delle direttive dal ministero. “La valutazione a distanza è difficile, il rischio che non sia autentica è molto alto”, dice Cervesato dell’Einstein. C’è la possibilità che si copi, che si chieda a qualcuno un aiuto. E “ci sono interrogazioni in cui si capisce che i famigliari suggeriscono o che stanno leggendo”, racconta un’altra docente. E con il filtro dello schermo, non sempre è chiaro se hanno davvero capito.

E, visto che sono tutti promossi, “se li sgravassimo dall’ansia delle interrogazioni avremmo la speranza che studino per piacere”, dice D’Incerti del Beccaria. Anche se, “mi rendo conto che non è una cosa di tutti, studiare per il piacere di farlo”. Eppure è quello che pensano anche i sui colleghi. “Ho detto ai ragazzi di terza che in questo momento hanno la fortuna di imparare le cose perché vogliono impararle e non per un voto. Si sono motivati e hanno promesso di impegnarsi”, racconta Scomazzoni del professionale Frisi.

“La scuola è come una tavola imbandita”, dice Cervesato del liceo scientifico Einstein. Le opportunità ci sono, basta saperle cogliere. “L’aspetto positivo di questa situazione è che si fa leva sul senso di responsabilità dei ragazzi”, perché non studiando per una valutazione, vista la situazione che li vede tutti promossi a fine anno, “se hanno capito che si studia per se stessi hanno colto l’essenziale”. Quindi “possono arrivare preparati, ma solo dal punto di vista tecnico”. Perché, ci tiene a precisare Cervesato, “la scuola va fatta a scuola”. Non dietro a uno schermo. Perché la scuola è relazione e tante altre cose che a distanza vengono messe in secondo piano.

© Silvia Lisanti

Anche se, spiegano i prof, si cerca di non perdere i contatti con gli studenti. Anzi, ci sono momenti dedicati a chiacchierare con loro, “per fare sentire che ci siamo”, come le chat di WhatsApp. “Si creano così dei momenti meno formali”, dice D’Incerti. Un’occasione per chiedere agli studenti come stanno e fare qualche battuta. “Ogni sera mando loro una canzone”, racconta Cervesato. Un modo per essere vicini anche a distanza. E si dedicano ampi momenti anche durante le video lezioni. “Passiamo intere ore a parlare”, dice Scomazzoni del Frisi. “L’obiettivo è cercare di non farli perdere”. O di rassicurarli. “Hanno bisogno di confrontarsi – conclude Borando, la preside del Galilei-Luxemburg – e dobbiamo garantire un clima emotivo positivo”.

Maturità

Tutti ammessi agli esami e con una maturità più leggera. Commissione interna. Due scritti o forse neanche uno. Qualcuno metterebbe la firma per una maturità così semplice. Eppure non sono fortunati questi ragazzi. Perdono un intero quadrimestre del loro ultimo anno di scuola. Il “primo vero esame della vita”, il rito di passaggio all’età adulta. Per alcuni è il coronamento di un percorso. Ci sono ragazzi che lavorano già dalla terza per mettere da parte i crediti necessari per ambire alla lode. Per altri è un una vetta da raggiungere e superare arrancando dietro la sufficienza. Da lì, poi, una parte proseguirà verso l’università. E per altri segnerà la fine degli studi. In ogni caso, la maturità è uno spartiacque. Ma intorno a questo esame ci sono tante cose: riti scaramantici, momenti goliardici, notti insonni, lunghe chiacchierate con gli amici e i “ripassoni” di gruppo. E poi ci sono i festeggiamenti, il viaggio di maturità, gli abbracci e lo spumante. Piccoli tasselli che resteranno indelebili del mosaico della memoria di qualsiasi studente.

Difficile pensare che tutto questo a giugno sarà possibile. A loro è stata negato anche di passare gli ultimi mesi tra i banchi con i compagni di avventure e i professori. Sono state cancellate la gita di quinta e le assemblee d’istituto. In molti casi, anche autogestioni e cogestioni. Le simulazioni delle prove di maturità. Niente è stato come per gli altri. Neanche la rincorsa all’ammissione agli esami. Perché, ribadiamo, sono tutti ammessi. “Non lo confesserebbero mai, ma si nota che i ragazzi di quinta non sono felici”, racconta Scomazzoni del Frisi. “Gli sono stati rubati gli ultimi quattro mesi”. E la maturità, “che è un momento solenne della vita di uno studente. Il momento in cui si mette un punto. Così è come se non riuscissero a chiudere il cerchio”.

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